di Pierluigi Malavasi *
Dal 29 novembre 196 leader dei paesi del mondo si riuniscono a Parigi per discutere del cambiamento climatico, nel meeting più importante degli ultimi anni per decidere come rallentare l'aumento della temperatura a livello globale nei prossimi decenni. Obiettivo della Conferenza è quello di contenere l’aumento della temperatura globale entro i 2°C, rispetto al periodo pre-industriale, partendo dallo stato di fatto attuale, che registra un aumento di 0,8°C. Lo strumento scelto è quello di un accordo per la riduzione delle emissioni a effetto serra.
Dopo quasi un ventennio di complesse trattative, arriviamo all’appuntamento della COP21 con in tasca gli impegni già sottoscritti da 146 paesi responsabili dell’86% delle emissioni serra che consentirebbero di dimezzare il rischio abbassando l'aumento di temperatura previsto da oltre 4 gradi a circa 3. Ma per raggiungere l’obiettivo di riduzione entro i 2°C, sono necessari ulteriori sforzi politici e programmatori.
I punti centrali della trattativa sono due. Il primo è la proposta di una revisione quinquennale degli impegni di riduzione delle emissioni presentati dai vari paesi, per indirizzarsi verso azioni più incisive. Una revisione che alcune nazioni vorrebbero fosse decennale o che riguardasse solo i paesi ricchi. Il secondo punto è la costituzione di un Fondo verde per il clima da 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020, per aiutare i paesi in via di sviluppo a investire nella riduzione delle emissioni di CO2 e per la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici.
L’Unione Europea, nel gioco degli schieramenti pro e contro l’accordo sui cambiamenti climatici, ha sempre giocato un ruolo trainante e, al suo interno, l’Italia mostra il suo impegno attraverso le ottime performance riconosciute dalla stessa Commissione Europea che certifica come il nostro Paese, già nel 2013, aveva raggiunto i tre obiettivi del cosiddetto “20-20-20”, fissati dal “pacchetto energia e clima UE”. Più specificamente, nel 2013, i consumi di energia primaria si erano già ridotti al di sotto del livello considerato dalla UE come obiettivo indicativo al 2020 per le politiche di miglioramento dell’efficienza energetica. La penetrazione delle fonti rinnovabili nei consumi di energia era al 16,7% raggiungendo con sette anni di anticipo il target obbligatorio assegnato all’Italia dalla UE (17% al 2020). La riduzione dei gas serra era, sempre nel 2013, già oltre gli obiettivi per le emissioni non ETS. Anche in termini complessivi, inoltre, sulla base dei più recenti dati ISPRA, già nel 2014 è stata raggiunta una riduzione delle emissioni del 20% rispetto al livello del 1990.
Di fronte all’evidenza dei cambiamenti climatici e alla gravità delle relative conseguenze, l’Alta Scuola per l’Ambiente (Asa) dell'Università Cattolica ritiene che sia importante mantenere un atteggiamento positivo e di fiducia rispetto alle scelte che i Governi effettueranno a livello internazionale. Non solo per una questione di responsabilità etica e condivisa, così come auspicato da Papa Francesco, ma anche perché la stessa economia sembra indicare la strada della sostituzione delle fonti fossili con fonti alternative.
Il cambiamento climatico deve diventare una opportunità: ne sono convinti anche i vertici dell'Organizzazione mondiale del Lavoro (Ilo) che proprio dagli uffici di Parigi hanno reso pubblico uno studio secondo cui "la transizione verso una economia decarbonizzata potrebbe portare alla creazione fra 15 e 60 milioni di nuovi posti di lavoro, oltre a ridurre la povertà e le ineguaglianze sociali". Numeri che trovano un primo fondamento nella marcia inarrestabile delle rinnovabili: secondo i dati del 2014, le energie verdi hanno coperto il 23% del fabbisogno di energia mondiale, con gli investimenti che soltanto nell'ultimo anno sono arrivati a 235 miliardi di dollari. Sempre secondo gli esperti dell'Ilo, le rinnovabili impiegano in questo momento 5 milioni di persone, ma se adeguatamente sostenute potrebbero far crescere l'occupazione del settore con una media del 21% all'anno.
Gli analisti di BlackRock, inoltre, la più grande società di investimento del mondo con oltre 4.300 miliardi di patrimonio da gestire, sono convinti che conterà sempre un approccio positivo nei confronti dei temi legati all'ambiente alla responsabilità sociale e alla trasparenza nella gestione. "L'eccellenza in questi campi non sarà solo sinonimo di qualità operativa e gestionale, ma indica anche la capacità di reagire all'evoluzione dei trend di mercato e di affrontare con flessibilità il rischio normativo con l'aiuto di collaboratori più coinvolti e produttivi".
* direttore Alta Scuola per l'Ambiente (Asa)