Si chiamano Neveen, Mustafa, Fathi, Laura, Nura, Susan. Sono solo sei dei 25 studenti dell’università al-Azhar di Gaza City che hanno accettato di raccontare cosa vedono dalle loro finestre su Gaza. Valichi di osservazione tristemente privilegiati su un luogo per definizione chiuso e con poche aperture verso l’esterno. Un’atipica finestra sul mondo che si moltiplica per tutti gli edifici abitati e anche per quelli che non lo sono più perché incompleti, distrutti, sventrati o abbandonati. Eppure da qui, da queste bocche sdentate, ci si affaccia, si guarda il mare, si sogna un futuro migliore o anche solo una gita in Egitto o nei Territori Occupati al di là di Erez e Sderot. Si impreca ma soprattutto si accetta che il tempo passi.
Ma chi sono le persone che guardano fuori da queste finestre e cosa vedono attraverso i loro occhi? Non lo si saprebbe diversamente se non ce lo raccontassero loro, questi giovani gazawi, con un telefonino, un registratore audio, poche parole di descrizione speakerate in arabo e postate su una piattaforma wordpress che prende nome dal progetto: “A window on Gaza. A project on training journalism”.
Il team è composto da universitari d’età compresa tra i 18 e i 25 anni, tutti gazawi, e il progetto nasce da una collaborazione tra Ats pro Terra Sancta, Almed-Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Al-Azhar University di Gaza. “A window on Gaza” è stato inaugurato a fine novembre 2013 con un workshop intensivo guidato da due professionisti italiani provenienti dal master in Giornalismo della Cattolica e proseguirà nei prossimi mesi. Lorenzo Bagnoli - giornalista di Terre di Mezzo e QCode Magazine, già impegnato in progetti simili nelle aree subsahariane del Senegal e della Guinea Conakry per l’associazione Assaman - e Laura Silvia Battaglia - tutor senior del master e giornalista freelance specializzata da anni nel reporting da aree di conflitto nel Medio e Vicino Oriente per testate italiane e internazionali - hanno fornito agli studenti gazawi gli strumenti per dare voce alle loro esperienze quotidiane.
Nei mesi a venire lavoreranno sulla produzione di report giornalistici, sul moviemaking e il webdocumentary. Nuove competenze verranno stimolate nell’uso di smartphone e social network per la creazione e diffusione di prodotti giornalistici professionali. È già stata creata, ed è visibile online, una piattaforma Wordpress e una pagina Facebook per la condivisione in rete dei contenuti realizzati.
L’obiettivo, come spiega Silvia Reitano, coordinatrice del progetto con anni di esperienza a Gaza e nei Territori Occupati, è «raccontare le storie che si possono scorgere dalle finestre di Gaza, attraverso suoni e immagini, per rafforzare la voce di coloro che vivono a Gaza tra mille difficoltà quotidiane». Ma non solo. «Gaza ha molte bellezze da offrire - dice Alaa, una degli studenti partecipanti -, ma nessuno le ha mai viste al di fuori da qui, perché di Gaza ci si occupa solo quando viene bombardata da Israele». Da qui l’idea di far vedere di Gaza City anche ciò che è bello: il mare, alcuni locali notturni, un parco giochi, la nuova moschea monumentale.
Certo, quel che prevale è il racconto quotidiano e la constatazione che ogni giorno, quando non ci sia la complicazione di un attacco aereo imminente, non è quasi mai un buon giorno. Fathi, un altro degli studenti impegnati nel workshop, lo fa capire chiaramente da un video, girato durante uno dei frequentissimi blackout a Gaza: «Si intitola “Diritto al divertimento”: ho filmato dei bambini che smettono di giocare alla playstation appena manca la luce e decidono di continuare a giocare, tradizionalmente, per strada». Peccato che non si tratti di una scelta ma di una necessità. Di quelle necessità che fanno virtù, pazienza e sopportazione, almeno per chi non ha voce in capitolo nella politica, nemmeno in quella, locale e pericolosa, della Striscia.