Scavare nelle vite degli anziani e nelle pieghe della fragilità. Un lavoro che anche il teatro, al pari della ricerca sociale, può assumersi. Come ha cercato di mostrare l’iniziativa Nonni Fragili. Vita e racconti dell’età slow, promossa il 4 marzo da master in Ideazione e progettazione di eventi culturali (Mec) e Centro d’iniziativa teatrale Mario Apollonio (Cit).
Anziani e nuove tecnologie
Il tema, con la conduzione di Claudio Bernardi, direttore del Cit, è stato innanzitutto analizzato sotto La prospettiva socio-culturale, con gli interventi di Roberto Assente e Simone Carlo, ricercatori dell’Università Cattolica e Cristiana Ottaviano, docente di Sociologia all’Università degli Studi di Bergamo. I primi si sono occupati di una survey in Lombardia svolta su un preciso campione di anziani, concentrandosi maggiormente sul rapporto degli stessi con le Ict e sulle possibilità aggregative e relazionali per occupare tempo libero o liberato. Cristiana Ottaviano si è focalizzata sulla condizione di “nonnità” come possibilità “riabilitativa” e come volontà di ri-nascita, di rimettersi in gioco, anche attraverso un interessante esperimento di teatro.
Sono pochi, davvero pochi, gli anziani che usano le tecnologie, per lo più lo fanno per passare il tempo e chiacchierare con figli e nipoti lontani. Non escono più a comprare il giornale in edicola perché lo leggono online. Roberto Assente e Simone Carlo leggono alcune risposte alle interviste effettuate. Qualche moglie si lamenta che il marito sta troppo davanti al portatile, anche sei-sette ore, apre lo schermo dopo colazione, meglio della televisione del mattino e del pomeriggio certo, ma una signora commenta: «Una volta però davanti alla tv si commentava insieme, ora invece, con il pc, mio marito non parla più».
La percezione dell’essere anziani arriva più tardi, ci si sente vecchi a 75 anni. Si usa internet o facebook per socialità, si usa tanto youtube, poco il meccanismo di ricerca del compagno di classe sui social: «Non ha senso per me ricercare gente che non vedo da trent’anni», commenta un altro intervistato.
Interessante anche il repertorio di immagini scattate dai ricercatori. Il pc è in cameretta, dove una volta c’era il figlio. Qualcuno lo apre e lo chiude per ogni sessione, lo dispone sul tavolo da pranzo, con sotto la tovaglia, e lo ricolloca, la sera, nella sua borsa. Altri lo hanno adattato in un armadio in modo da renderlo invisibile, è in effetti curioso vedere quei vecchi centrini sotto monitor LCD su una credenza in arte povera. Chi è “nonno”, dice Cristiana Ottaviano, ha certamente qualche risorsa in più, resta dentro un meccanismo di famiglia, dentro un sistema. Continua in qualche modo a percepirsi utile.
Il teatro-indagine
L’altra via proposta dall’incontro, promosso da master Mec e Cit, per analizzare la condizione dell’anziano è quello del teatro. Nella seconda parte, dedicata a Raccontare la fragilità e introdotta da Luca Monti, coordinatore del master, Antonio Tagliarini e Daria Deflorian hanno presentato il loro ultimo lavoro teatrale, vincitore del Premio Ubu 2014 come migliore drammaturgia, Ce ne andiamo, per non darvi altre preoccupazioni, tratto dal romanzo L’Esattore dello scrittore greco Petros Markaris.
Quattro donne anziane decidono di farla finita, si preparano per bene per l’ultimo viaggio. Prendono dei sonniferi, lasciano un biglietto: «Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni, per non pesare su di voi, sulla società», come per mantenere una dignità, non accettando di essere sempre più povere, emarginate.
Daria e Antonio, che nel loro precedente lavoro, Reality, parlano di questo tema, hanno frequentato le case di riposo. In lunghe interviste chiedevano quando fosse stata “l’ultima volta” in cui quegli anziani avessero fatto qualcosa, dormito insieme ad un'altra persona, fumato una sigaretta, indossato un abito elegante. Il lavoro di Daria e Antonio è nei dettagli, una indagine nella vita quotidiana.
Hanno iniziato in sala prove a creare immagini, mai mimetiche, mai personaggi. Sono sempre loro in scena che, immediatamente dal mondo della fragilità degli anziani, riescono a riferire al presente. È la condizione di precarietà che pervade tutto, altre generazioni. È l’economia, è la “crisi”.
Come si fa dunque a rappresentare la disperazione? Come hanno fatto loro e come possiamo fare noi operatori e ideatori di eventi culturali a tentare di dare degli spunti, fare eventi sociali e culturali “sensati”, che siano occasioni di discussione? Antonio e Daria sono in un continuo tentare e indirettamente ci mettono di fronte alla loro risposta, una prova aperta che nello spettacolo continua a interrogare il pubblico.