«Sogniamo insieme, condividiamo con tutti il nostro sogno e la nostra visione, decidiamo insieme». Si è espresso così monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano e presidente dell’Istituto Toniolo, in occasione del “Discorso alla città”, pronunciato presso la basilica del Santo, adiacente all’Università Cattolica, il 4 dicembre, alla vigilia dei festeggiamenti per il patrono Ambrogio.
L’intervento rivolto agli amministratori delle istituzioni civili e all’intera comunità ambrosiana è partito da una puntuale analisi della stringente attualità, con riferimento all’emergenza spirituale in atto connotata da una «condizione di aridità degli animi che sono come assediati dalle emozioni, dalle apprensioni, dalle notizie della pandemia».
In questo contesto «l’individualismo si rivela una forma di presunzione rovinosa: la comunicazione diventa impossibile perché ciascuno parla una lingua diversa, la convivenza diventa impraticabile perché l’ideale appare la solitudine, l’educazione si rivela insopportabile perché l’insofferenza prevale sulla gratitudine».
Ecco allora che l’arcivescovo di Milano propone una visione comune, o meglio un sogno, riprendendo l’espressione già utilizzata dal cardinale Carlo Maria Martini, per andare oltre l’ideologia, l’individualismo, il neoliberismo e i loro effetti deleteri.
Tra i percorsi condivisi per superare le storture del mondo, cita il compito irrinunciabile dell’educazione: «Tocca agli adulti la responsabilità di consegnare alle giovani generazioni la visione da cui può partire il futuro», proponendo quindi un’alleanza educativa.
Di rilievo, inoltre, l’invito alla costruzione di una comunità plurale: «Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti».
L’educazione, la formazione, la riflessione, il dialogo, l’alleanza sono temi che trovano terreno fertile per quanto riguarda la missione dell’Università, e che la impegnano a un contributo diretto e fattivo non solo nelle alte strategie ma anche nella quotidianità di ciascuno.
Per questo, venendo al cuore del messaggio di monsignor Delpini, sono da apprezzare e da ringraziare coloro che sono rimasti al proprio posto durante l’emergenza, consentendo alla città di funzionare: si pensi agli operatori del settore della sanità, della mobilità, delle forze dell’ordine, della ristorazione e della relativa distribuzione.
Ma «restare al proprio posto» è un impegno richiesto a ognuno senza deleghe in bianco, senza atteggiamenti di indifferenza o di insofferenza, senza attendere che si muovano prima gli altri: «Tocca a noi, non nel senso che abbiamo la presunzione di occupare tutta la scena, di imporci come maestri che devono indottrinare gli altri, di prenderci momenti di potere o di gloria. Tocca a noi, piuttosto, nel senso di un dovere da compiere, di un servizio da rendere, di un contributo da offrire, con discrezione e rispetto, di intraprendere un cammino che nessuno può compiere al posto nostro. Un cammino che siamo chiamati a percorrere insieme».
Ecco l’altro punto cardine del discorso: insieme. Ognuno deve intervenire e contribuire secondo le sue responsabilità e possibilità per costruire quella trama di rapporti che fanno funzionare il mondo. Insieme, cioè senza fughe in avanti, senza virtuosismi solitari, ma calibrando e armonizzando gli interventi, facendo sintesi, creando collaborazione, valorizzando le competenze e le specificità di ogni persona e di ogni istituzione