Da anni il dipartimento di Matematica e fisica dell’Università Cattolica, con sede a Brescia, studia gli impatti dell'ozono sulla vegetazione e sul sistema climatico, a partire dai progetti di rilevante interesse nazionale (Prin) dei primi anni 2000 fino ai progetti europei Manfred ed Eclaire recentemente conclusi. Un percorso di ricerca coronato ora dalla pubblicazione dell’articolo Vegetation feedbacks during drought exacerbate ozone air pollution extremes in Europe sulla prestigiosa rivista scientifica Nature – Climate Change.
«Attraverso un lavoro retrospettivo che ha combinato misure e modelli abbiamo dimostrato che i cambiamenti climatici in Europa stanno contribuendo ad aumentare i livelli di ozono in aria, invece che ridurli come si era sempre creduto» spiega Giacomo Gerosa, autore della ricerca con Angelo Finco e altri colleghi europei. «Questo è dovuto a una complessa interazione tra atmosfera, piante e clima che porta le foreste a rimuovere meno ozono di quanto previsto (eh sì, le piante rimuovono questo inquinante dall'aria a nostro beneficio...) a causa della minore disponibilità idrica nei suoli indotta dal riscaldamento globale»..
Dove si sono svolte le vostre ricerche e con quali metodi? «Le misure alla base della pubblicazione sono state condotte nella foresta di Ulborg in Danimarca e, da parte nostra, nella foresta della riserva presidenziale di Castelporziano a Roma. Sono state usate inoltre osservazioni dei livelli di fondo di ozono troposferico misurate in stazioni in quota in Svizzera (Jungfraujoch), Germania (Zugspitze, Hohenpeissenberg) e Austria (Sonnblick) , oltre che misure prese da satellite. Le simulazioni modellistiche sono state invece condotte a Princeton (Usa) e hanno tenuto conto di un complesso di scenari legati all'aumento delle emissioni di CO2, COV, NOx e metano, in particolare da parte dei Paesi asiatici. Gli esiti di questa ricerca potranno servire a mettere a punto strategie più efficaci per la riduzione dei livelli atmosferici di ozono, perché quelle attualmente adottate sono vanificate dai cambiamenti climatici in atto».
Ma perché l'ozono fra gli elementi inquinanti della terra è considerato una bestia nera? «L'ozono al suolo (non quello in stratosfera, che è buono!) è la bestia nera estiva perché è un forte ossidante in grado di causare seri danni alla vegetazione agricola (con riduzione anche dei raccolti) e forestale, e indurre irritazioni oculari, cutanee e polmonari nell'uomo, in particolare nei soggetti più fragili e affetti da patologie polmonari pregresse (es. asma, BPCO). In Italia la situazione è leggermente migliorata rispetto a 10 anni fa. Tuttavia le simulazioni modellistiche mostrano che la situazione è destinata di nuovo a peggiorare, malgrado i nostri sforzi di riduzione delle emissioni dei precursori dell'ozono, a causa del riscaldamento in atto e alla recrudescenza degli eventi siccitosi».
C’è chi sostiene che la diffusione del coronavirus sia stata più forte nelle zone con un tasso di inquinamento maggiore. Lei cosa ne pensa? «Domanda difficile. Chi sostiene questa tesi evidenzia una correlazione tra diffusione del coronavirus e inquinamento atmosferico nell'aria, Pm in particolare. Tuttavia "correlation is not causation", ovvero l'esistenza della correlazione non è la prova che la diffusione del virus sia favorita nelle aree più inquinate. Infatti queste ultime sono anche le aree più densamente popolate del pianeta e ciò implica, semplicemente, una maggiore possibilità di contagio tra gli abitanti senza bisogno di tirare in ballo l'inquinamento atmosferico. Beninteso, ridurre l'inquinamento atmosferico farebbe bene a tutti. Tuttavia la prova provata che il Pm atmosferico contribuisce alla diffusione del contagio sarebbe quella di trovare il virus o frammenti di esso nel Pm presente nell'aria ambiente delle città. In mancanza di ciò ritengo che si tratti solo di speculazioni».