Tra i tanti punti di vista da cui si possono esaminare i cambiamenti imposti alla politica dalla pandemia, lo storytelling è una delle prospettive meno battute: può essere utile affrontarlo da una prospettiva storica per poi vedere come si sia adattato all’emergenza Covid.
Il termine storytelling viene importato in Europa nel 2007 e indica qualcosa di più specifico rispetto alla semplice narrazione, ovvero una narrazione unita al marketing politico in cui «non solo si raccontano storie, ma la costruzione di storie è molto specializzata e mira a obiettivi specifici tramite l’utilizzo degli strumenti mediatici che provengono prima dalla televisione e oggi dal web» spiega Sofia Ventura, docente di Scienza Politica all’Università di Bologna e Autrice de I leader e le loro storie (Il Mulino, 2019). L’intento, prosegue Ventura, è di «produrre una diffusione virale di queste storie con lo scopo di raccogliere consenso in maniera mirata e diversificata anche grazie al web e ai big data». Proprio nel 2007 viene eletto Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy che ha fatto largo uso dello storytelling, sulla falsa riga dell’esperienza americana. Infatti, il primo leader a utilizzare strumenti retorici per sedurre prima ancora che convincere è Ronald Regan adattando il suo repertorio comunicativo al principale media a lui contemporaneo, la televisione, anche se è poi Bill Clinton a sovrapporre definitivamente marketing e storytelling e portare il culto della personalità del presidente-superstar a un livello superiore. Facendo un salto in avanti, bisogna ricordare anche Emmanuel Macron che si serve di «strategie comunicative tradizionali, big data, incontri Facebook per costruire un’immagine di leadership e un partito personale».
Da questo breve excursus storico appare chiaro che media e politica abbiano un rapporto biunivoco che restituisce un mix tra informazione e intrattenimento: Anna Sfardini, docente di Comunicazione interculturale all’Università Cattolica, spiega infatti che «i media svolgono un ruolo molto importante come ambienti per forgiare il funzionamento della società e della politica” e che l’ambiente comunicativo del web ha rivoluzionato non solo lo storytelling politico ma addirittura ha portato a “una trasformazione delle modalità cognitive del pubblico e dei cittadini»: la fame dei followers chiede nuove storie quotidiane e viene sfamata con una web politica che ricorre spesso a nette semplificazioni arrivando a deformarsi per adattarsi alla brevità di Twitter.
Maestri della web politica a tratti smodatamente eccentrica sono quelli che Christian Salmon descrive nel libro La tirannia dei buffoni che, ricorda Ventura, si sono dimostrati incapaci di rispondere alla pandemia in modo efficace, così come sono stati non adeguati a gestire crisi diverse i politici che, a partire dal 1989, hanno utilizzato l’ottimismo, prima, e la rabbia, poi, come arma di seduzione di massa.
È dunque probabile che aumenterà la domanda di 'una dimensione di normalità': la risposta potrebbe essere, questa la tesi di Ventura, un nuovo tipo di storytelling meno ossessionato dal consenso, cui invece ha mirato la narrazione durante la pandemia di Macron e del premier Giuseppe Conte, molto attenti a esaltare il proprio operato ricorrendo spesso a toni patriottici. Questo nuovo storytelling potrebbe avere come esempio lo stile retorico della Cancelliera Angela Merkel – e forse anche quello del presidente eletto Joe Biden –, solita a discorsi in cui si limita a trattare con obiettività «del problema che è in corso e di come il suo governo stia cercando di risolverlo».
In questi mesi di pandemia è stato inoltre attribuito dalla politica un ruolo istituzionale alla scienza: tuttavia, «la complessità e il procedere per ipotesi del metodo scientifico poco si adattano all’immediatezza richiesta oggi alla comunicazione; per questo motivo – ha concluso Sfardini riprendendo il capitolo da lei curato all’interno dell’e-book L’altro virus (Vita e Pensiero, 2020) - il tentativo di conciliare scienza e storytelling è risultato poco efficace».