Se per molti agricoltori la conta dei danni dovuti agli attacchi da cimice asiatica riguarda essenzialmente la perdita di raccolto, per i viticoltori le cimici possono portare anche un altro, grave problema.
«I danni da cimice asiatica possono compromettere non solo la produttività della vite, ma anche il processo di vinificazione, in quanto gli insetti che si trovano sui grappoli al momento della raccolta possono rilasciare composti responsabili di odori sgradevoli nel vino» spiega l’entomologa dell’Università Cattolica Ilaria Negri.
Un impatto non da poco per uno dei prodotti di punta del made in Italy: da uno studio condotto negli USA, la presenza di sole 3 cimici per grappolo può arrivare a compromettere significativamente le caratteristiche organolettiche del prodotto. «Fortunatamente, l’uva di per sé non sembra essere particolarmente gradita alle cimici, ma la presenza di colture molto attrattive poste in prossimità dei vigneti, come per esempio la soia, porta i grappoli a bordo coltura ad essere infestati da decine di esemplari».
Sono questi alcuni dei primi risultati del progetto di ricerca triennale DEBUG, coordinato dall’Università Cattolica e finanziato dalla Regione Lombardia. Ilaria Negri, insieme al suo staff di ricerca, sta rilevando dei tratti comportamentali ed eco-fisiologici della cimice asiatica molto interessanti, che possono essere sfruttati per proteggere le colture dagli attacchi e prevedere con maggiore precisione le zone più sensibili alle infestazioni.
«Per contrastare efficacemente e in modo sostenibile un infestante, soprattutto alieno, è innanzitutto necessario conoscere bene la biologia, l’ecologia e il comportamento della specie nel nuovo ambiente" illustra Negri: "Simulando condizioni microclimatiche diverse, abbiamo notato che esistono microhabitat particolarmente preferiti dalla specie e altri che, invece, arrecano stress fisiologici. Questo permette di capire quali sono quindi le aree delle colture più suscettibili alle infestazioni e di attuare interventi di difesa sostenibile mirati e localizzati, secondo un principio di Precision Crop Protection. Questi dati possono anche essere utilizzati per integrare i modelli previsionali di diffusione delle infestazioni in campo, anche alla luce dei cambiamenti climatici in atto».
Dagli studi emergono anche alcune curiosità. Le cimici che infestano le nostre case sopravvivono all’inverno grazie a un peculiare comportamento che le porta a cannibalizzarsi l’un l’altra. I cannibali possono quindi contare su un surplus di risorse alimentari che le porta a sopravvivere fino alla primavera inoltrata, quando le piante ospiti potranno fornire un nutrimento migliore. Riuscire a scovare i nuclei di aggregazione delle cimici svernanti sarebbe dunque molto importante perché la sopravvivenza delle cimici è legata al gruppo e chi sopravvive verrà poi a infestare le nostre colture.