Poco tempo, Marco prende il cellulare, naviga su internet, cerca un ‘dizionario’ che traduca “almeno le cose più semplici e necessarie” nel linguaggio dei gesti. Lo trova, impara in fretta a mente i gesti per alcune frasi: “Hai difficoltà a respirare? Hai dolore da qualche parte del corpo? Ti senti affannata?”. Non che si fidi troppo di un sito incontrato al volo, sa che in rete c’è di tutto e di più, ma davvero non ha tempo. Decide d’imparare quei gesti: “Proviamoci”, pensa.
Ha appena chiuso il telefono, giovedì scorso. La chiamata era appena arrivata dal pronto soccorso: “Fra mezz’ora vi mandiamo in reparto una trentasettenne sorda” e il reparto è uno di quelli Covid al Policlinico Gemelli di Roma. Marco prende la chiamata, “va bene”, poi chiude perplesso, preoccupato. Sa già quanto sia “difficile comunicare con alcune persone anziane che hanno problemi all’udito” e che nemmeno possono aiutarsi col labiale, visto che la bocca di medici e infermieri è coperta da mascherina e tutto il resto. E ora con una ragazza che non sente e non parla dalla nascita diventa quasi impossibile. Quasi. Gli è venuta quell’idea, non sa se e quanto possa essere realizzabile.