«La poesia non c’è bisogno di scriverla, è già nella vita». Giulio Rapetti, in arte Mogol di versi ne ha scritti tantissimi. Ma in forma canzone. Famoso soprattutto per il sodalizio artistico con Lucio Battisti, ha scritto testi per tutti i più importanti cantanti italiani del dopoguerra, tra cui Mina, Celentano, Patty Pravo, Gianni Morandi, Riccardo Cocciante e Gianni Bella.
Mogol ha parlato della sua esperienza di autore di canzoni lo scorso 31 marzo, nell’incontro con gli studenti del master in Comunicazione musicale diretto da Gianni Sibilla e con gli studenti del Cimo, il corso di laurea magistrale in Comunicazione per l´impresa, i media e le organizzazioni complesse. «Non mi piace la definizione di paroliere, preferisco la definizione degli inglesi che chiamano gli autori di canzoni lyric writers, cioè liricisti. Per scrivere testi bisogna partire sempre dalla verità. Però va raccontata senza senso del pudore. Io non dico mai bugie, nei testi ma anche nella vita quotidiana. Infatti mia moglie ogni tanto mi riprende».
Secondo Mogol la vera arte parte sempre da un’esperienza reale. L’autore deve sempre scrivere di ciò che ha vissuto in prima persona, anche a rischio di fare riferimenti che il pubblico non capirà. È ciò che è successo con un verso di Pensieri e parole, singolo di Lucio Battisti uscito nel 1971: Conosci me/che ne sai di un viaggio in Inghilterra/quel che darei/che ne sai di un amore israelita/perché negli altri ritrovassi gli occhi miei/di due occhi sbarrati che mi han detto bugiardo è finita.
«È il racconto in poche parole di un episodio accaduto realmente quando sono andato a Londra. Mi ero appena diplomato e quasi per caso mi sono ritrovato a una festa ebraica. Lì ho conosciuto Sharon, una ragazza stupenda che mi ha chiesto di fidanzarci. Quella notte quasi non ho dormito. Il giorno dopo, però, è saltato tutto, perché si è accorta che non ero ebreo. Anche se le persone non capivano il riferimento della canzone, perché non sapevano dell’accaduto, i versi sono stati apprezzati perché quel mini racconto è autentico, ha il profumo della vita».
Oltre alla realtà, un’altra grande ispirazione è stata la natura. «Fin da bambino ho sempre voluto vivere a stretto contatto con la natura. Anche adesso vivo nei boschi in Umbria. Rimango scioccato quando vedo che il territorio viene maltrattato e trascurato. Il mare nero della Canzone del Sole non era altro che una chiazza di petrolio nel mare». Secondo Mogol l’autore di canzoni quando scrive non pensa a chi canterà le canzoni. «Durante la mia carriera non ho mai scritto una canzone a tavolino o adattandomi allo stile dell’artista a cui sarebbe andata. L’autore sono sempre io, nei testi ci sono sempre io. La possibilità di diventare artisti è un dono che spesso non sappiamo neanche di avere e non sfruttiamo». Il talento però va coltivato nel tempo, è un dono che va perfezionato. «Di genio ne nasce uno su un milione. Hanno una marcia in più all’inizio, ma anche loro devono lavorare tantissimo».
Mogol ha recentemente pubblicato l’autobiografia “Il mio mestiere è vivere la vita” (Rizzoli), da cui ha raccontato diversi aneddoti, tra cui gli incontri con David Bowie e Bob Dylan. In parallelo con l’attività di autore ha anche tradotto molte canzoni di grandi stranieri, a partire dal premio Nobel 2016 per la Letteratura. «È stato giusto assegnargli il prestigioso riconoscimento perché ha cambiato il modo di interpretare le canzoni. Prima di lui era importante come si cantava, era fondamentale l’impostazione e la tecnica. Lui invece più che cantare comunicava, riusciva a trasmettere emozioni. Era elettrico. Sono contento che finalmente abbia deciso di ritirare il premio».
Ma secondo Mogol, che ha rivelato di essere stato lui stesso candidato al Premio Nobel, «la vera grandezza di un artista risiede nell’umiltà. Io faccio sempre l’esempio di Madre Teresa. Lei ha passato la sua vita ad aiutare gli umili e ad assistere ai malati. Quando uno si dà tante arie bisogna paragonarlo a lei. Al fianco suo chiunque è un imbecille».