L'Italia è un paese in difficoltà, che continua ad avere carenza di cultura civica e scarsa fiducia nel capitale sociale. A farne le spese sono soprattutto i giovani. Un capitale umano che deve essere valorizzato. E di cui si è fatto spesso portavoce con le sue ricerche e i suoi libri Alessandro Rosina, docente di Demografia dell'ateneo, che è stato ospite il 9 aprile della sede di Brescia nell'ambito delle iniziative per la l'89esima Giornata dell'Università Cattolica.
Proprio la presentazione nella libreria di ateneo della sua ultima fatica editoriale "L'Italia che non cresce. Gli alibi di un paese immobile" ha dato spunto al dibattito animato dalle domande di Daniele Aredenghi, giornalista del Giornale di Brescia, dove è approdato subito dopo la laurea conseguita alla facoltà di Scienze linguistiche della Cattolica. Rosina ha descritto le risorse sottoutilizzate dal nostro Paese: i giovani, le donne, gli anziani e gli immigrati. In ogni capitolo, nell'esaminare cosa non funziona e quali resistenze trova il cambiamento, vengono messi in luce sia i freni strutturali che quelli culturali in combinazione con l'inadeguatezza della classe politica, poco brillante nel leggere e cogliere le nuove sfide di questo secolo. La principale ricchezza di un paese sono i suoi abitanti, allo stesso tempo produttori e destinatari di benessere. E proprio dai giovani abitanti è necessario partire, sottolinea Rosina, investendo su di loro per assecondarne e accrescerne le capacità e per creare nuove opportunità. «La drammatica alternativa - afferma - è quella di giovani che rivedono al ribasso le loro aspettative, oppure che se ne vanno all'estero, in tal modo ipotecando ogni possibilità di sviluppo per il nostro Paese».
Il problema è di tipo culturale e strutturale e per spiegarlo il professore usa una similitudine: l'Italia funzionerebbe come un negozio ben poco lungimirante che tiene i suoi migliori prodotti (i giovani appunto) chiusi nel retrobottega, anziché esporli in vetrina. Negli altri Paesi europei succede l'esatto contrario: per questo molti giovani lasciano l'Italia per andare in Germania o negli Stati Uniti dove viene premiato il merito e ci sono adeguati strumenti per compiere al meglio ciò che si è chiamati a fare. Secondo il demografo non si può dare loro torto, perché l'Italia oggi è come una squadra di calcio con vecchi titolari che non riesce mai a vincere e che lascia in panchina i fuoriclasse. I nostri giovani li teniamo "in attesa", sono considerati una componente immatura, anziché una parte innovativa. Si registra l'incapacità del sistema paese di tornare a investire sui giovani con delle politiche che favoriscano la loro emancipazione dalla famiglia e la possibilità di far fruttare i loro talenti, da attuare con tre azioni: protezione, promozione e partecipazione. Meno si investe sui giovani e meno possono giovare al proprio paese, contribuendo al suo sviluppo.
Durante l'incontro si è parlato anche delle donne, una componente di genere demograficamente dominante, con livelli d'istruzione superiori a quelli maschili, con performance scolastiche mediamente migliori, ma con meno opportunità di lavoro e con remunerazioni inferiori. Ciò è dovuto principalmente alle difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia: il 30% delle madri lascia il lavoro per motivi familiari contro il 3% dei padri. Ma non tutto è perduto, è convinto il professor Rosina: il declino non è un destino ineluttabile. Forse alcuni di quelli che attualmente vediamo come limiti possono diventare nuovi punti di forza da cui ripartire.