Il tema della vendetta nelle opere di Alexandre Dumas e la funzione riabilitativa della pena in Victor Hugo; il desiderio di rivalsa sociale in Charles Dickens e gli aspri conflitti della società vittoriana nei romanzi di Robert Louis Stevenson. Sono i “modelli di giustizia” analizzati dal convegno conclusivo del sesto Ciclo seminariale “Giustizia e Letteratura”.
A Dumas e Hugo è stata dedicata la sessione mattutina, presieduta da Luciano Eusebi, docente di Diritto penale dell’Università Cattolica, con gli interventi di Marisa Verna, docente di Lingua e letteratura francese dell’ateneo, Renzo Orlandi, docente di Diritto processuale penale dell’Università degli Studi di Bologna, Giovanna Bellati, docente di Letteratura francese dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, e Francesco Palazzo, docente di Diritto penale dell’Università degli Studi di Firenze.
Il tema della vendetta attraversa come fil rouge tutte le opere di Dumas père. La narrazione in forma di romanzo ripercorre e rielabora, infatti, le vicende di ingiustizia patite dal padre di Dumas. Nel Conte di Montecristo la vendetta non si limita a un piano terreno, in cui il protagonista regola i conflitti con il proprio antagonista. Il Conte, infatti, si erge oltre la giustizia umana, per riaffermare un proprio concetto di giustizia, ritenuta «consona al cuore di Dio». Tuttavia, seppur cinico e spietato, anche lo stesso Conte di fronte alle estreme conseguenze del proprio agire si trova di fronte al dubbio che la strada fino ad allora intrapresa come «strada di giustizia», in realtà ne rappresenti la negazione nella sua essenza più vera.
Diversamente, nelle opere di Victor Hugo, il diritto è considerato fattore di progresso civile che indirizza verso mete di dignità, solidarietà e libertà. Nel contempo, e questo è un punto che accomuna di due autori, è ferma la critica alle istituzioni del sistema penale vigente in quanto strumento che produce indigenza e ignoranza diffusa. Tale prospettiva emerge limpidamente nei Misérables, in cui la dialettica relazionale tra i tre personaggi principali, il vescovo (Myriel), il forzato (Jean Valjean) e il poliziotto (Javert), esprime una concezione della giustizia riabilitativa e caritatevole, fuggendo da logiche di sofferenza e prevaricazione.
Al romanzo popolare inglese è stata dedicata la sessione pomeridiana del convegno, presieduta e introdotta da Gabrio Forti, preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, docente di Diritto penale e Criminologia e direttore del Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp), con gli interventi di Carlo Pagetti, docente di Letteratura inglese e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, e Adolfo Ceretti, docente di Criminologia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, su Charles Dickens, e di Arturo Cattaneo, docente di Lingua e letteratura inglese dell’Università Cattolica, e Giovannangelo De Francesco, docente di Diritto penale dell’Università di Pisa, su Robert Louis Stevenson.
Nel corso dell’incontro è emersa la straordinaria attualità del pensiero di Dickens, quale interprete e protagonista della Londra vittoriana del XIX secolo. Narratore di un universo sociale percorso da una forza malvagia, insidiosa e potente, Dickens racconta di una criminalità spesso associata alla povertà, ma anche al desiderio di vendetta e rivalsa sociale.
Gli aspri conflitti della società vittoriana sono evidenti anche nelle opere di Robert Louis Stevenson. Il romanzo Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, in particolare, rappresenta l’espressione più alta dell’insoddisfazione e della paura di ciò che è istinto, dell’ombra oscura che l’uomo non vuole accogliere al proprio interno e proietta sull’altro da sé. A ben vedere, le tematiche della paura e dell’ossessione del doppio rivelano il timore, ancora oggi tutt’altro che sopito, che si sgretolino le fragili conquiste della modernità, regredendo a uno stadio di bestialità primitiva.
Ha chiuso i lavori Aldo Grasso, docente di Storia della radio e della televisione dell’Università Cattolica, che ha ricordato come il teleromanzo nella prima metà del novecento, abbia contribuito a rendere popolari i grandi romanzi dell’Ottocento, pur essendo un format televisivo con uno stile divulgativo, espressione di una giustizia ritardata, pigra e romanzata e forse, secondo il relatore, «non troppo distante da quella vera».
Il Ciclo seminariale “Giustizia e letteratura” proseguirà con la sua settima edizione nell’anno accademico 2015-2016.