di Agostino Giovagnoli *
“Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre, cercano una vita migliore, cercavano la felicità”. Così papa Francesco ha parlato delle vittime della terribile tragedia avvenuta, nel Mediterraneo, la notte di domenica 19 aprile. Anche questa volta, le sue parole non sono state di circostanza ma vibranti della sofferenza autentica di chi condivide la vita degli altri, specie nei passaggi più drammatici. E in sintonia con questi sentimenti, Il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino ha sottolineato con forza che la priorità ora è impedire altre tragedie simili.
È il contrario di quella “cultura dello scontro” di cui il Papa ha parlato rivolgendosi al mondo dell’università, a Cagliari, nel 2013. Si tratta di uno dei suoi pochi interventi esplicitamente rivolti al mondo dell’accademia. Eppure, Francesco pone oggi una sfida importante a uomini e donne che della cultura fanno il proprio lavoro e il proprio impegno. Finora, questa sfida è stata poco raccolta.
L’umanità di Francesco, la forza del suo esempio, l’eloquenza dei suoi gesti hanno conquistato milioni di persone. In tanti riconoscono la novità e l’incisività del suo stile pastorale. Il suo amore per i poveri suscita ovunque ammirazione. Ma pochi si interrogano sul suo pensiero e sulla sua cultura. Molti anzi tendono a pensare che la grandezza di questo Papa sia soprattutto “pratica”. Per qualcuno, alla semplicità della sua comunicazione corrisponderebbe addirittura un’elaborazione concettuale altrettanto semplice. Ma non è così.
Proprio l’alternativa radicale tra cultura dello scontro e cultura dell’incontro mostra che il pensiero di papa Francesco ha radici profonde. Da tempo, infatti, Jorge Bergoglio ha sviluppato un’ampia riflessione sulla cultura dell’incontro, come risposta ai problemi della globalizzazione, che provoca frammentazione dei rapporti umani e disarticolazione del sapere. Tutto questo emerge oggi pienamente nelle grandi città extraeuropee, dove convivono gruppi etnici, culturali e religiosi tanto diversi: qui è già visibile oggi, specie nelle periferie e tra i più poveri, la realtà del mondo di domani. C’è uno stretto rapporto tra disgregazione sociale e frantumazione culturale. Quest’ultima deve essere affrontata a partire dalla prima. Ma la ricomposizione di un tessuto lacerato non avviene solo sul piano sociale: ha bisogno anche della cultura.
"Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì – ha detto il papa a Cagliari -. L’Università è luogo privilegiato in cui si promuove, si insegna, si vive questa cultura del dialogo, che non livella indiscriminatamente differenze e pluralismi - uno dei rischi della globalizzazione è questo -, e neppure li estremizza facendoli diventare motivo di scontro, ma apre al confronto costruttivo”.
Non è un progetto da imporre partendo dal “centro”: come la Chiesa deve “uscire” per incontrare l’altro, così la cultura deve superare la sua autoreferenzialità per ripartire dal più lontano. “Veniamo da una pratica pastorale secolare in cui la chiesa era l’unico referente della cultura”. Ma quell’epoca, ha affermato Francesco, “è passata”. “Non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati”. Non è più tempo di grandi costruzioni culturali, filosofiche o architettoniche. Ripetendo i modelli del passato senza ascoltare gli uomini di oggi si produce una cultura vuota.
“La povertà nelle relazioni, nella crescita umana, tendono a riempire teste senza creare un progetto condiviso di società, un fine comune, una fraternità sincera” ha detto agli universitari cattolici. È prioritario, dunque, “cogliere l'«odore» degli uomini d'oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce. Nella cultura soprattutto oggi abbiamo bisogno di metterci a fianco di tutti”. In questo senso la cultura dell’incontro ha anche una valenza antropologica: è l’incontro con l’altro la chiave di un nuovo umanesimo.
La sfida di papa Francesco, come si vede, non è solo sociale ma anche culturale, non è solo pastorale ma anche antropologica. A questa sfida è dedicato il seminario di studio che si svolgerà il 6 maggio, in Sala Negri da Oleggio, alle 15.30, con la partecipazione di monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale Italiana. Vuole essere il primo momento di un percorso di approfondimento, per cercare di cogliere la novità, anche culturale, di questo Papa che continua a sorprenderci.
* docente di Storia contemporanea, Università Cattolica