C’è un punto sul quale il professore Joseph Yacoub (nella foto) non transige: in qualsiasi modo la si voglia guardare, la storia contemporanea del Medio e Vicino Oriente si avvia verso una negazione del suo pluralismo culturale millenario. Una tragedia di cui in tanti sono responsabili ma di cui nessuno pare voler trovare la soluzione.
Già nel suo libro del 2006, dedicato ai “Cristiani in Iraq” (Jaca Book), il professore si concentrava su una realtà che molti media sbandierano solo quando si tratta di esercitare pressioni diplomatiche sui governi ma che per molti anni è stata ignorata. Studioso ed esperto di minoranze etnico-religiose da una cinquantina d’anni, il professore Yacoub porta su di sé i tratti delle genti del Mashrek, indeuropee e orientali allo stesso tempo. Professore di Scienze politiche presso l'Università Cattolica di Lione, in Francia, è nato a Hassakeh, in Siria ed è cresciuto a Beirut, in Libano, dove si è specializzato in Sociologia. Oggi vive e insegna a Lione, dove migrò nel 1969, per proseguire gli studi di dottorato. La questione assiro-caldea, su cui ha appena pubblicato un volume presentato in Cattolica, è il suo punto forte, sia per questioni ereditarie - suo padre, il tenente Bablo, è stato un membro dell’assiro-caldeo Battaglione in Jaziereh, Siria – sia per studi successivi. Oggi, con quanto sta accadendo in Iraq, la vicenda di queste minoranze, in maggioranza di religione cristiana, sono diventate di stretta attualità e il professore ci tiene a fare chiarezza.
«Sono anni, quantomeno dall’occupazione americana dell’Iraq, che assistiamo a quella che non esito a definire la persecuzione dei cristiani. Essa, come ha avuto modo di dire il patriarca caldeo Emmanuel II Delly, nella sua omelia nella chiesa di Mar Quardagh, non è dovuta al solo governo iracheno, incapace di proteggere i cristiani ma è venuta anche dall’esterno. Fu molto duro nei loro confronti quando disse che erano venuti “senza il nostro consenso” e che non si poteva essere d’accordo con quanto fecero in quegli anni. Del resto, anche da parte del patriarca della Chiesa assira orientale Mr Dinka IV non ci fu mai, in quegli anni, un consenso. Piuttosto si affrettò a dire al canale Ishtar Tv che non se ne sarebbe stato zitto».
Così il professore non è per nulla sorpreso di ciò che accade nelle aree di controllo del sedicente Stato islamico e ritiene che è già troppo tardi, «che è un problema che poteva essere evitato già nel 2007 quando minacce ed espulsioni a danno di famiglie cristiane a Baghdad erano all’ordine del giorno. Eppure da tempo, e non solo nelle ultime elezioni, i cristiani, attraverso alcuni partiti, come il “Movimento degli Assiri democratici” ha chiesto con chiarezza forme di garanzia e protezione: la riforma dell’articolo 3 della Costituzione, basato sul principio di etnicità, la revisione e completamento degli articoli 116-121 che conferiscono alle minoranze del Paese anche l’autonomia regionale o addirittura la possibilità di dotarsi di apparati, sistemi di sicurezza e milizie proprie; infine, la realizzazione a Ninive di un insediamento cristiano, su modello israeliano (il “Safe haven”), per contenerli, proteggerli e anche consentire il rimpatrio dei rifugiati all’estero. «Tutta roba fattibile sulla carta ma difficile nella pratica. Il vero grave problema dell’Iraq, per tutte le minoranze, poi, basti pensare agli yazidi, è proprio una Costituzione basata sul principio dell’etnicità che non ha senso e crea ambiguità. Se davvero si vuol fare una democrazia, bisognerebbe basarsi su una reale uguaglianza, e sul principio di cittadinanza che caratterizza tutte le vere democrazie. Altrimenti non stiamo a prenderci in giro».
Yacoub, che da anni si batte per far conoscere i meandri della storia e le stragi dimenticate o sottovalutate, come quella del popolo armeno, dall’alto della sua conoscenza ha qualche suggerimento per leggere la realtà e trovare una via di fuga al peggio: «In Iraq, ormai, la prima cosa da fare è combattere questo sedicente Stato islamico; il secondo step cruciale è favorire una politica riformista dell’Islam che eviti troppe ingerenze della politica nella confessione, militanze, milizie settarismi che in Iraq sono stati e sono presenti sia da parte sunnita che da parte sciita; infine battersi per una vera riforma della Costituzione, senza tante sottigliezze. Come diciamo nei Paesi del Mashrek, la terra, wathan in arabo, è di tutti e Dio è per tutti. Applichiamolo al più presto possibile».