«Rinunciare all’idea di costruire un proprio stato in cambio della creazione di un sistema federale dove tutti possano godere dei medesimi diritti civili». È questa l’alternativa che il filosofo Sari Nusseibeh propone per porre fine all’interminabile conflitto israelo-palestinese. Figura di spicco del mondo intellettuale palestinese, attualmente alla guida della Al-Quds University nella parte araba di Gerusalemme, Nusseibeh lo scorso 7 ottobre era a Milano, ospite dell’Alta Scuola di Economia e relazioni internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica per presentare in anteprima nazionale il suo ultimo libro “What Is a Palestinian State Worth?” (Harvard University Press), non ancora tradotto in Italia. La presentazione, organizzata dall’Aseri in collaborazione con The University of Chicago Alumni Club of Italy, ha fornito lo spunto per riflettere a fondo sulla crisi israelo-palestinese insieme. Con l’autore del libro, hanno preso parte al dibattito - introdotto da Carlos D’Ercole, PhD Università Cattolica del Sacro Cuore/LL.M. University of Chicago e moderato da Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali - Daniel Levy, Senior Fellow, New America Foundation, Washington D.C., e Mattia Toaldo, Fellow, British Academy at Rome, Society for Libyan Studies.
Nato a Damasco e cresciuto a Gerusalemme in una delle famiglie palestinesi storicamente più importanti, formatosi a Oxford e Harvard, con alle spalle la collaborazione con la Prima Intifada e un’esperienza come volontario in un kibbutz, Sari Nusseibeh è noto a livello internazionale per il suo approccio non violento, per così dire gandhiano, alla soluzione del conflitto. Ma è noto anche per le sue posizioni fuori dal coro, che spesso gli hanno attirato le critiche non solo degli israeliani, ma dei suoi stessi compatrioti. Per esempio, nel giugno del 1987 fece discutere la sua richiesta rivolta alla leadership palestinese di riconoscere lo Stato israeliano. Nel 1991 invece, durante la prima Guerra del Golfo, fu tenuto in custodia cautelare per 90 giorni dai servizi di sicurezza israeliana perché considerato una spia dell’Iraq.
Così Nusseibeh, dopo anni di varie sperimentazioni, ammette di essere giunto alla conclusione, da alcuni considerata provocatoria, che forse i palestinesi per smettere di sentirsi cittadini di “seconda classe” dovrebbero prima di tutto impegnarsi a chiedere pieni diritti civili all’interno di Israele. «È l’unico modo per uscire dal limbo in cui viviamo. A Gaza e in Cisgiordania non c’è libertà di movimento. Potete immaginare che cosa significa non poter viaggiare, scontrarsi quotidianamente con divieti di ogni tipo, non avere libero accesso all’assistenza sanitaria, ai servizi di prima necessità?», si chiede il filosofo. Secondo Nusseibeh in questi condizioni è impensabile che i palestinesi aspettino altri vent’anni per la creazione di due Stati separati e indipendenti. Il primo step, invece, sarà lavorare congiuntamente per dare vita a una federazione ed estendere a tutti i palestinesi i diritti civili. Solo in un secondo momento si potrà parlare di diritti politici. «Uno Stato è tale se è al servizio della popolazione - osserva Nusseibeh -. Pertanto, la soluzione federale può risultare quella più adatta per risolvere anche problemi legati alla gestione di risorse naturali».
Daniel Levy, negoziatore ed esperto di politica estera anglo-israeliano, ex consigliere dell’attuale ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, e da sempre sostenitore della soluzione dei due stati, non crede molto nella soluzione federale di Nusseibeh. Levy, che ha rivestito un ruolo centrale nei negoziati tra Israele e Palestina nei primi anni 2000, è convinto che per risolvere la crisi sia necessario un negoziato diretto che si fondi su una maggiore onestà nel dialogo tra le parti. Non manca, poi, un accenno al ruolo che da sempre gli Stati Uniti hanno avuto nell’intera vicenda. Secondo Levy in questo momento è in corso un grande dibattito, anche dopo la richiesta di Abu Mazen all’Onu di riconoscere uno Stato palestinese. Purtroppo, però, l’azione diplomatica statunitense sembra sospesa tra il presidente democratico Barack Obama, che ha più volte espresso la volontà di lavorare per la soluzione dei due Stati, e la maggioranza repubblicana del Congresso, che ha più volte rimarcato la sua contrarietà. Forse per uscire dall’impasse, ha concluso l’esperto, la vera urgenza non è tanto quella di dover trovare a tutti i costi una soluzione, quanto piuttosto lavorare per affrontare con un dialogo chiaro singole questioni come la demografia, i diritti e le risorse. Una posizione che in fin dei conti, pur se espressa da una diversa prospettiva, trova un punto di contatto con quella di Nusseibeh proprio nella necessità di garantire stabilità al territorio israelo-palestinese.