di Enrico Serafini *
Il modo più rapido per raggiungere Canavieiras, la piccola città che ho imparato a conoscere nella travolgente esperienza del Charity Work Program, è atterrare in un aeroporto che viene considerato il secondo più pericoloso del Brasile a causa della pista di atterraggio cortissima e della presenza di abitazioni nella zona.
La brusca frenata del pilota mi ha fatto intuire per la prima volta quanto sia sorprendente il Brasile, un Paese dove la crescita economica corre a un passo molto diverso rispetto alla maturità sociale e civile del popolo che lo abita. Nel giro di qualche giorno ho iniziato a rendermi conto di come la loro povertà più grande non sia quella materiale – pure rilevante – ma piuttosto quella di relazioni, di diritti e di libertà di pensiero. La maggior parte delle persone e delle famiglie di una città come Canavieiras si sentono abbandonate da uno Stato assente, inserite in reti sociali fragili o dannose e si scoprono incapaci di pensare e progettare un futuro migliore, bloccati da un fatalismo retaggio di secoli di colonialismo.
In questo deserto fiorisce il miracolo del “Giardino degli Angeli”, un asilo e un doposcuola che si rivolge a bambini appartenenti a famiglie in difficoltà. Il suo obiettivo, portato avanti con forza, coraggio e anche profonda gioia, è quello di fornire un’educazione non solo scolastica – altrimenti assente – ma anche affettiva e civile a bambini bisognosi soprattutto di un ambiente sereno e fiducioso nel futuro.
Ci si rende conto di cosa significhi entrare nel Giardino degli Angeli incontrando e conoscendo i bambini, increduli di fronte a persone disposte a prendersi cura di loro, ad aiutarli e ascoltarli in tutte le piccole-grandi scoperte della loro vita, attenzioni che ricambiano con un entusiasmo e un affetto difficilmente ritrovabili altrove.
Ho scoperto il calore e l’energia di questi bambini fin dal primo momento, quando, al mio primo accesso in questo meraviglioso Giardino, sono stato accolto da decine di bambini impazienti di conoscermi e soprattutto di farsi conoscere. Giorno dopo giorno ho iniziato a sentirmi parte di questo straordinario mondo imparando ad affezionarmi a ciascuno menininho per la sua simpatia, spontaneità e tenerezza.
Tre settimane intense e fulminanti: le prime (incomprensibili) domande in portoghese dei bambini, i (rumorosi) pranzi all’asilo, giocare a pedra, papel, tesoura, i rimproveri e le risa delle maestre, far ruotare i bambini nell’aria, le infinite spiagge tropicali, le incontaminate foreste di mangrovie, il churrasco, il gaiamun, la storia del Brasile e dei “colonnelli del cacao”, il pescatore conosciuto in riva al mare, il maestro di capoeira, il ragazzo che insegna flauto dolce ai bambini del doposcuola, gli indimenticabili ed entusiasmanti racconti di italiani capitati in qualche modo in una piccola città del Sud America e infine lo sguardo delle persone che hanno dedicato la loro vita al Giardino degli Angeli.
Chi non ci lascerebbe lì il cuore? Sono ripartito per l’Italia con il pensiero rivolto esclusivamente a quando sarei potuto tornare. Continuo a pensare a cosa mi sia rimasto di questa esperienza e faccio ancora fatica a comprenderlo pienamente. Mi ha costretto di certo a riscoprire tutto quello che mi è stato dato nella vita e a sentirmi fortunato non tanto per le “cose” che possiedo ma per il valore dell’educazione scolastica e soprattutto affettiva che ho ricevuto e che mi ha insegnato a pensare e a vivere come una persona “libera”.
Un noto adagio brasiliano afferma che “quando uno sogna da solo è un sogno, quando invece si sogna insieme è la realtà che comincia”. Dall’estate appena conclusa ho iniziato a sognare anch’io e mi sono svegliato nel Giardino degli Angeli.
* 25 anni, di Trento, secondo anno della laurea magistrale in Psicologia delle organizzazioni e del marketing, facoltà di Psicologia, sede di Milano