Leggere e capire la realtà – intesa nelle sue molteplici (e non sempre rosee) sfaccettature quotidiane, quali la questioni giovanile e dell’occupazione post-universitaria - attraverso dati statistici.
È stato l’obiettivo del seminario “Statistica e vita quotidiana. Leggere la precarietà”, che ha avuto luogo il 10 marzo nella sede bresciana dell’Università Cattolica.
L’evento, svoltosi nell’ambito del decimo Laris Day – la giornata dedicata al Laboratorio di Ricerca e Intervento Sociale - ha avuto quale scopo principale quello di soffermarsi su alcuni dei vari aspetti della precarietà socio-economica che coinvolge ogni giorno una grande fetta della popolazione nazionale, con particolare riferimento alle giovani generazioni e ai nuclei famigliari, e sulla dimostrazione di come, mediante l’adozione di adeguate competenze statistiche e metodologiche, sia possibile comprenderne alcune delle possibili cause e i trend in atto, al fine di elaborare un programma di sviluppo sociale che moltiplichi e ottimizzi le opportunità di lavoro per i giovani e non solo.
In questo senso, i dati statistici forniscono chiare indicazioni sulle tendenze in atto. In Lombardia, ad esempio, con un tasso di attività della fascia di età 15-64 anni del 70,7% (>63,9% media italiana) e un tasso di disoccupazione dell’8,2% (<12,7% media italiana), emerge come i lavoratori a tempo determinato sul totale degli occupati siano passati dal 6,6% (2010) al 7,4% (2013) in pochi anni. Tale valore percentuale rimane comunque inferiore alla media italiana, passata, nel medesimo periodo (2010-2013), da 8,7% a 9,9%. In questo contesto nel 2014 la provincia di Brescia si è distinta grazie a un tasso di attività 15-64 anni di 69,1%, inferiore alle media regionale del 70,7% e un tasso di disoccupazione del 9,1%, superiore alla media regionale del 8,2%.
Ma cosa sta cambiando nel mondo dell’occupazione e del lavoro?
Alcune riflessioni interessanti le ha fornite Giuseppe Garofalo, responsabile per l’Istat del progetto Archimede (Progetto Archivio Integrato di Microdati Economici e Demografici). «Non è la tipologia di contratto a definire lo stato di precarietà» ha sottolineato. «Oggi moltissimi giovani si avvalgono di contratti di collaborazione, ma di fatto si comportano come vere e proprie piccole imprese, sono liberi professionisti a tutti gli effetti. Occorre inoltre tenere in considerazione il fattore geografico e i relativi costi della vita: essere precario in Lombardia non è infatti uguale ad essere precario in Campania».
«Per giungere a tali conclusioni – ha specificato - abbiamo necessità di entrare in possesso del maggior numero possibile di cartelle dati e informazioni su larga scala sempre più specifiche e capillari che, purtroppo, nel nostro Paese sono di difficile reperibilità poiché la statistica pubblica non le fornisce, nonostante la statistica si dimostri ormai indispensabile per la programmazione territoriale e settoriale e la valutazione di politiche pubbliche».
Nel corso del seminario è inoltre emerso come, quella relativa alla forza lavoro, sia l’analisi più ampia e tra le più costose effettuate dell’Istat, condotta periodicamente su un campione di 120.000 famiglie dei 22 milioni totali presenti su suolo italiano, ma che ha permesso di rilevare anche alcuni cambiamenti “atipici” verificatisi negli ultimi anni.
Ne è un esempio l’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, come ha illustrato Maria Elena Comune, dell’Ufficio Territoriale Lombardia dell’Istat: «Tra il 2008 e il 2014 l’occupazione femminile ha registrato un piccolo ma significativo aumento dal 52,5 (2008) al 53,5 (2014); viceversa quella maschile sembra vivere un momento di criticità, con solo 71,5 punti registrati nel 2014 rispetto ai 77,2 del 2008. Le cause di ciò possono essere imputabili alla crisi economica che ha colpito i settori dell’industria e delle costruzioni, che occupano per la maggior parte forza lavoro maschile, mentre le donne vengono impiegate maggiormente negli ambiti del commercio e dei servizi”.
Certo, la proporzione si ribalta per quanto concerne le tipologie contrattuali – con la popolazione femminile in netto svantaggio rispetto ai colleghi maschi sul fronte dei contratti a tempo indeterminato – ma i dati statistici aiutano a meglio cogliere alcuni segnali indiscutibili di come tempi stiano cambiando