Un sogno che si avvera. Maria Magatti non ha altro modo per descrivere il Sei nazioni appena concluso, che apre le porte del Mondiale all’Italia femminile di rugby. Comasca, 23 anni, iscritta al corso di laurea in Scienze motorie all’Università Cattolica, è risultata la seconda top score del torneo con cinque mete. Grazie alle vittorie contro Scozia, Francia e Galles, l’Italia è l’unica nazione riuscita a scalare posizioni nel ranking mondiale, raggiungendo l’ottavo posto, davanti ad armate come Australia e Sudafrica. È il risultato più importante mai raggiunto dall’Italia del rugby, uomini compresi.
Avete ottenuto un risultato storico. Mister Di Giandomenico è riuscito a creare un mix perfetto tra vecchia guardia e nuova generazione. È questo il vostro segreto? «Questo ottimo mix ha certamente contribuito al nostro successo perché l’esperienza delle ragazze più esperte per noi giovani è fondamentale. Così come è prezioso il ricambio generazionale: tutte le ragazze alla prima esperienza possono imparare dalle altre».
All’interno della vecchia guardia chi è il tuo punto di riferimento? «Sicuramente il capitano Silvia Gaudino, che è anche mia compagna di squadra a Monza. È un esempio di impegno, dedizione e concentrazione, sia dentro che fuori dal campo».
Quali sono le atlete più forti contro cui hai giocato? «Senza dubbio l’Irlanda, che ha poi vinto il torneo. Giocare contro di loro è stato molto difficile, anche perché era la nostra prima partita e abbiamo avuto poco tempo per lavorare insieme. Le irlandesi hanno un gioco di alto livello, sono sia fisiche che tecniche».
Cosa manca all'Italia del rugby maschile? «Non posso fare un paragone tra rugby maschile e femminile perché il contesto è troppo diverso. Il rugby maschile è uno sport professionistico, per cui è richiesto un livello maggiore. Noi non siamo professioniste, come la maggior parte delle altre squadre che incontriamo».
Come ti sei avvicinata al rugby? «Quello tra me e questo sport è stato un incontro casuale. In prima superiore il professore di educazione fisica mi ha proposto di partecipare ai campionati studenteschi. Io avevo appena lasciato la mia squadra di basket ed ero alla ricerca di un altro sport. Mi sono subito innamorata. In seconda superiore ho partecipato a questi campionati di rugby e l’anno dopo, insieme al mio professore e ad alcune compagne, abbiamo deciso di fondare una squadra a Como, la città in cui abito. Sono rimasta due anni e sono poi passata al Monza, in serie A, dove gioco ancora oggi».
Dopo il successo del Sei Nazioni ritorna il campionato. Il Monza è campione in carica: vi sentite pronte a bissare lo scudetto dell’anno scorso o temete altre squadre forti come Treviso, Valsugana, Riviera del Brenta? «Siamo consapevoli delle nostre potenzialità e sappiamo che molto di quello che otterremo dipende da noi. La squadra più ostica quest’anno è senza dubbio il Valsugana. Sono loro quelle da battere, ma non dobbiamo sottovalutare le altre».
Come fai a conciliare il tuo impegno sportivo con gli studi? «Studio Scienze motorie e in realtà sono un po’ indietro con l’università. Nel periodo del Sei Nazioni è difficile portare avanti gli studi, perché siamo lontane cinque giorni a settimana e spesso gli esami di febbraio saltano. Durante l’anno però, senza Nazionale, è tutto più semplice. Ci alleniamo la sera e giochiamo la domenica: basta organizzarsi e si può fare tutto».
Alcune tue compagne di Nazionale, durante la stagione, giocano in Francia. Hai mai pensato di emigrare all'estero? «È un’ipotesi che ho sempre tenuto in considerazione, ma che non ho mai voluto veramente realizzare. Dopo la laurea triennale ho intenzione di iscrivermi alla magistrale. Mi piace la mia vita in Italia e non ho intenzione di stravolgere tutto, anche se so che sarebbe stimolante a livello rugbistico, visto che il nostro campionato non è al livello di quello francese o inglese. Sarebbe utile, ma per ora non ci penso».
Il rugby in Italia non è uno sport professionistico e in Nazionale alcune ragazze hanno un lavoro a tempo pieno. Tu cosa vorresti fare da grande? «Non lo so ancora. Il mio sogno è quello di trovare un lavoro che riesca a conciliare gli ambiti dell’educazione e dello sport. Mi do ancora del tempo per realizzarlo, ora penso a finire l’università e iscrivermi alla magistrale. Senza mai dimenticare il rugby».