Il convegno su “Vescovi e monasteri a Brescia nel contesto del Regno Italico nei secoli X-XII”, promosso dal Centro di Studi sul Monachesimo Europeo (Cesime) attivo presso la sede bresciana dell’Università Cattolica e presieduto da Giancarlo Andenna, ha affrontato un tema complesso e cruciale per comprendere la storia medievale di questa città e dell’ambito territoriale di sua pertinenza. Infatti i monasteri, teoricamente inseriti nella rete delle istituzioni diocesane, costituivano spesso un fattore di complicazione dell’assetto religioso ed ecclesiastico, in quanto fin dalla fondazione molti importanti cenobi (si pensi a S. Giulia di Brescia e a S. Benedetto di Leno) erano dotati del privilegio dell’esenzione dall’autorità vescovile. Non mancavano poi monasteri istituiti dagli stessi vescovi, come quello di S. Eufemia, a riprova del fatto che la creazione di comunità di “specialisti della preghiera” era universalmente considerata come uno strumento in grado di produrre effetti positivi ai fini della Salvezza.
I risvolti religiosi, tuttavia, non esauriscono le potenzialità euristiche del fenomeno monastico in sede storiografica, poiché vescovi e monasteri controllavano complessi fondiari di dimensioni a volte imponenti, la cui diffusione travalicava – specialmente fino al secolo XI – i confini locali. I patrimoni monastici riflettevano infatti la diffusione sul territorio dei gruppi aristocratici che a essi facevano riferimento e che proprio nei monasteri trovavano uno strumento efficace non solo di organizzazione fondiaria, ma anche di strutturazione sociale dei vassalli che a loro facevano riferimento. Sul versante episcopale il tema della vassallità era altrettanto sentito e fungeva da fattore di organizzazione dei fideles cittadini legati al vescovo e proiettati verso il contado attraverso l’assegnazione in beneficio di terre e diritti pubblici.
Tutti questi fenomeni sono ben noti alla storiografia medievistica, mentre merita di essere approfondito il quadro istituzionale generale in cui essi vanno collocati. Diventa centrale a questo proposito il ruolo dell’Impero e in particolare della sua frazione subalpina, il Regno Italico, che a partire dall’età carolingia e fino all’età del Barbarossa, pur con diverse modalità e intermittente intensità, in virtù della funzione avvocatizia dell’ordinamento ecclesiastico che esso deteneva, fornì una cornice tendenzialmente unitaria alle sperimentazioni istituzionali della penisola italiana.
La novità del convegno consisteva infatti in un rovesciamento di prospettiva: a fronte di una tradizione di studi tipicamente italiana che a partire dal secondo Dopoguerra ha privilegiato costantemente l’osservazione di tali fenomeni dalla periferia, si è cercato di mettere in rilievo le interazioni delle realtà locali (in questo caso quella bresciana) con il centro teorico del sistema, con l’Impero appunto, approfondendo una ipotesi di lavoro già fruttuosamente impiegata negli studi di Nicolangelo D’Acunto, docente presso la facoltà di Lettere della Cattolica e autore di una monografia del 2002 su Ottone III e il Regno Italico, che al convegno si è occupato in particolare dei rapporti tra la Lombardia e l’Impero. Tutto ciò non comporta la riesumazione della categoria di Stato tipica della storiografia giuridica ottocentesca, ma al contrario consente di comprendere l’effettivo funzionamento di un potere, quello imperiale, semplicemente “non-statale”.
Risulta cruciale, a questo proposito, l’uso anche per il caso bresciano delle più aggiornate metodologie di ricerca sulla documentazione imperiale, maturate non per caso in ambito tedesco, in un ambiente storiografico tradizionalmente attento alle dinamiche di funzionamento dell’Impero. Ha partecipato al convegno il protagonista assoluto di questo rinnovamento degli studi, Wolfgang Huschner, dell’Università di Leipzig, che ha dato un saggio del suo metodo di lavoro, incentrato sull’analisi dei diplomi imperiali intesi come documenti le cui forme sono in grado di rispecchiare un complesso di relazioni multilaterali tra i detentori della sovranità e i loro sudditi, tra il centro teorico del sistema e le sue periferie. Altrettanto importante è risultato lo studio dei concetti impiegati dai redattori dei diplomi, oggetto delle ricerche di Stefano Manganaro, dell’Istituto di Studi storici di Napoli, anch’egli presente con una relazione al convegno bresciano. Entro tali innovative coordinate teoriche e metodologiche si sono articolati gli interventi su singole istituzioni, affidati a studiosi di consolidata competenza, tutti attivi presso l’ateneo bresciano.