Sono state premiate le cinque migliori pubblicazioni scientifiche prodotte dalla facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli” lo scorso anno: due lavori di ricerca di base e tre di ricerca Clinica. L’occasione è stata quella della Giornata per la Ricerca 2014, in programma l’8 maggio al Polo universitario Giovanni XXIII della sede di Roma dell’Università Cattolica. La graduatoria è stata elaborata separatamente per le due aree, e il criterio di valutazione dei lavori scientifici è stato basato unicamente sull’indice di impatto della rivista su cui la ricerca è stata pubblicata, ovvero l’impact factor-IF che identifica la frequenza con la quale un articolo di una certa rivista viene citato nella bibliografia di altri articoli in un determinato anno. Pertanto, i valori di IF di queste cinque pubblicazioni sono di fatto i più alti della Facoltà, per le due aree di afferenza.
Sul “Journal of Clinical Oncology” è apparso un importante studio su un campione di 380 pazienti laziali con “sindromi mielodisplastiche” per verificare la validità di un “test multifattoriale” messo a punto a livello internazionale per stabilire la prognosi di questi pazienti, caratterizzati da anomalie del midollo osseo ad andamento clinico variabile. Questo test permette di distinguere quali pazienti andranno incontro a trasformazione rapida in leucemia, per i quali è indicato il trapianto di midollo osseo, da quei pazienti che hanno una buona aspettativa di vita con terapia conservativa. Lo studio è stato condotto dalla dottoressa Maria Teresa Voso, dell’Istituto di Ematologia, in collaborazione con i professori Adriano Venditti, Giuseppe Leone e ricercatori di altre università romane.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Circulation” . È stata ideata e testata dal gruppo del professor Gaetano Lanza, dell’Istituto di Cardiologia, diretto dal professor Filippo Crea, in un lavoro che ha come primo autore la dottoressa Alessandra Stazi, una strategia potenzialmente in grado di ridurre alcuni effetti avversi di delicati interventi per curare le aritmie cardiache: l’ingegnoso metodo consiste nell’usare il manicotto dell’apparecchio che misura la pressione per bloccare transitoriamente la circolazione del braccio del paziente (gonfiando e sgonfiando alcune volte il manicotto) prima di procedere all’intervento di ablazione per danneggiare le aree cardiache responsabili dell’aritmia. I ricercatori hanno dimostrato, infatti, che questo metodo, noto come “precondizionamento ischemico remoto”, è in grado di ridurre l’attivazione delle piastrine che si verifica durante la procedura di ablazione, e potrebbe quindi ridurre le complicanze ischemiche cerebrali a essa legate.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Brain”. I professori Marcello D’Ascenzo e Claudio Grassi dell’istituto di Fisiologia umana hanno scoperto in che modo la cocaina esercita, in animali da laboratorio, i suoi danni sul cervello ed evidenziato la possibilità di prevenire le disfunzioni neuronali e comportamentali causate dall’abuso di cocaina. I ricercatori hanno scoperto che alla base dei danni cerebrali causati dalla cocaina c’è un’alterazione della funzione delle sinapsi, i ponti di comunicazione tra i neuroni. Tale alterazione è dovuta alla diminuzione della concentrazione di una piccola molecola, la D-serina, indispensabile per assicurare una corretta comunicazione tra i neuroni a livello delle sinapsi. «Sebbene siano necessarie ulteriori indagini, i risultati di questo studio potrebbero rappresentare un punto di partenza verso il possibile impiego della D-serina come farmaco nel trattamento della dipendenza da cocaina», spiegano gli autori dello studio.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Plos Genetics”. Scienziati dell’istituto di Genetica medica hanno scoperto il ruolo di una proteina, ‘CTCF’, nella sindrome X - fragile, una delle più diffuse forme di ritardo mentale: la riduzione di questa proteina nei neuroni di alcuni soggetti potrebbe contribuire a bloccare la trascrizione del gene responsabile della malattia. La proteina CTCF sembra in grado di promuovere la trascrizione del gene FMR1 - che causa la malattia - in quei fortunati soggetti che, pur avendo la mutazione a carico di FMR1, non si ammalano per motivi ancora non del tutto chiari. Condotta dalla dottoressa Elisabetta Tabolacci dell’istituto di Genetica medica, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata di Roma (professoressa Emanuela Helmer-Citterich e dottor Fabrizio Ferrè). I genetisti della Cattolica studiano da anni in provetta le cellule di rari fortunati soggetti che, pur avendo il gene FMR1 difettoso, non si ammalano. Il motivo è che le cellule di questi individui continuano a produrre la proteina FMRP, perché il gene “malato” - per motivi ancora poco chiari - non è disattivato dai silenziatori genetici (gruppi metile), come succede invece nei pazienti. Nello studio pubblicato su “Plos Genetics” i ricercatori hanno scoperto che una proteina che si lega al DNA, ‘CTCF’, ha un ruolo nel favorire la trascrizione del gene FMR1. Quando CTCF è poco presente, il gene risulta, infatti, poco trascritto.
Lo studio pubblicato sulla rivista “Jama”. Avere sofferto di calcoli renali aumenta del 30% il rischio di soffrire di cuore (infarto e coronaropatia con necessità di rivascolarizzazione coronarica). Il rischio, però, aumenta solo per le donne. Lo ha scoperto Pietro Manuel Ferraro, nefrologo presso l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Università Cattolica-Complesso Integrato Columbus, diretta dal professor Giovanni Gambaro insieme ai colleghi della prestigiosa Harvard University di Boston. La scoperta è frutto di un maxi-studio durato 24 anni, che ha coinvolto oltre 240 mila persone. Lo studio è stato pubblicato sul prestigioso “Journal of American Medical Association” (Jama). Per le donne, ma non per gli uomini, è risultata un’associazione significativa tra calcoli renali e malattia cardiaca. In presenza di calcoli la donna ha un rischio-cuore più alto del 30% a parità di altri fattori di rischio come fattori dietetici, diabete e ipertensione.