Statistiche alla mano, un trapano viene usato in media non più di 40 minuti lungo l’intero arco della sua vita. Possedere un oggetto per usarlo per meno di un’ora? Non sarebbe molto meglio farselo prestare dal vicino? Nessun problema se al vicino si sta simpatici, ma se i rapporti di vicinato non sono idilliaci potrebbe essere un problema. Ma adesso, per fortuna, ci pensa la sharing economy. Una rivoluzione sociale che da poco interessa anche il nostro Paese. L’Università Cattolica ha deciso di conoscerla meglio con Sharitaly, il primo appuntamento scientifico sull’economia collaborativa in Italia, che si è tenuto il 29 novembre in largo Gemelli e a Palazzo delle Stelline a Milano.
«Non è importante possedere tutto, ciò che conta è accedere ai vantaggi e alle esperienze che gli oggetti possono offrire», afferma la ricercatrice di San Francisco April Rinne nell’introdurre un fenomeno che negli Stati Uniti ha generato nell’ultimo anno 3,5 miliardi di dollari di utili, attirando investimenti globali stimati per un milardo di dollari nel solo 2013. “What’s mine is yours” per il Times è l’idea che cambierà l’economia e la società del nostro secolo. L’unico limite della sharing economy sembra essere l’intraprendeza degli individui imprenditori di se stessi e le necessità dei potenziali consumatori.
Hai il pollice verde, ma nessuno spazio in cui sbizzarrirti? Con Landshare quasi 40mila britannici si sono incontrati condividendo il risultato del loro hobby in cambio di un giardino incolto in cui esercitarlo. Sei uno studente particolarmente dotato in una materia? Con Skillshare puoi mettere le tue conoscenze a disposizione di chi è disposto a pagare per una tua lezione, magari in cambio di una lezione su un altro argomento. Nei soli Stati Uniti sono più di 400mila gli studenti e i professori che si scambiano competenze via Internet. Nel settore più classico delle case vacanza il sito di house sharing Air Bnb nei suoi quattro anni di attività ha avuto un record di notti prenotate superiori a quelle della catena alberghiera Hilton. Anyroad mette in contatto i turisti con gli abitanti di una città disposti a fargli da guida, in cambio di una cena o del semplice piacere di fare una passeggiata con degli interessanti sconosciuti.
Se poi, dopo aver prenotato un bel week end si volesse risparmiare anche sul viaggio Bla Bla Car è un meccanismo ormai collaudatissimo in cui chi deve fare un viaggio mette a disposizione i posti liberi in cambio di un contributo per il viaggio e magari una conversazione brillante. Presente in dieci Paesi europei si calcola che entro il 2020 il sito muoverà un volume di affari pari a due miliardi e mezzo di euro. Cifre da capogiro destinate ad aumentare se la sharing economy avrà un riconoscimento istituzionale e un adeguato sistema legislativo per tutelare la nuova generazione di produttori/consumatori. I sindaci di 15 città americane, tra cui New York, Los Angeles, San Francisco e Chicago, hanno firmato quest’anno la Sharing resolution, impegnandosi a sostenere con azioni concrete questo nuovo modo di creare ricchezza dal basso.
Ben distante dalla realtà americana si rivela quella italiana come fa notare Marta Maineri, autrice del libro “Collaboriamo”. «In Italia si può condividere davvero di tutto, come nel resto del mondo - afferma -. Quello che è mancato fino al 2012 è stata la consapevolezza da parte dei suoi stessi protagonisti di avere a che fare con un modello vincente di new economy. Molti avviano siti di sharing come attività a tempo perso». In Italia sono presenti oltre 130 start-up specializzate nei più svariati settori; crescono tutte anche se lentamente, ma le uniche ad aver conosciuto un vero successo sono quelle arrivate dall’estero. Per esempio Bla Bla Car ha una crescita mensile del 130%, mentre Air Bnb, sbarcato nella penisola solo a febbraio, ha avuto una crescita esponenziale del 350%.
Fanno molta fatica le idee made in Italy. Sfatato il mito dell’individualismo italico e dato per assunto il grande ostacolo del digital divide, quello che veramente manca alle idee di casa nostra è l’impostazione economica vincente. I siti vengono spesso gestiti in maniera dilettantesca e ignorando il loro reale potenziale, limitandone la visibilità a poche migliaia di utenti. Unica eccezione è Fubles che mette in contatto oltre 300mila giocatori di calcetto in tutta Italia.
Nonostante la partenza in salita anche nel nostro Paese la sharing economy inizia ad attirare gli investimenti dei protagonisti tradizionali del mercato. Diesel, Barilla, Adidas, Car2Go e Ikea sono le prime aziende di una lista destinata ad allungarsi che investono somme importanti di denaro nel settore.
Si domanda la professoressa Laura Bovone: «La sharing economy è in grado di cambiare radicalmente la società o è una semplice conseguenza della crisi economica, destinata a scomparire con l’arrivo di tempi più floridi?». La risposta è densa di opportunità e sfide per il futuro, per chiunque abbia l’intraprendenza di coglierle.