di Alessandro Turno *
«Cerca di vivere a Berlino almeno per un anno, quando hai meno di 30 anni». Me l’hanno detto una volta alla fine di una serata. E avevano ragione. La capitale tedesca era una meta che avevo scelto da tempo e c’ero già stato per imparare il tedesco con l’obiettivo di andarci di nuovo.
Non ero pronto alla quantità di attività, persone, culture, esperienze ed eventi che mi hanno travolto durante l’ultimo anno. A cominciare dalla difficoltà della lingua. Parlare regolarmente, seguire le lezioni e svolgere gli esami in lingua, è stato tutt’altra cosa. Ma anche così soddisfacente. La prima anamnesi presa in tedesco. La prima battuta riuscita a rompere il rispettoso silenzio che vige durante i tirocini in Germania.
Gli ospedali mi hanno lasciato positivamente sorpreso. Un’etica lavorativa quasi calvinista permea ogni dipendente tra le mura delle strutture sanitarie. Tutti si danno da fare senza sosta e tutti, dall’infermiere al primario, sono pronti ad aiutarti, coinvolgerti e rispondere alle tue domande.
Anche i miei compagni di corso sono stati una sorpresa. I tedeschi sono, di norma, più formali e più silenziosi degli Italiani, ma non per questo meno amichevoli. Si sono rivelati sempre tutti pronti a darmi una mano quando non capivo qualcosa o a invitarmi a uscire con loro i primi tempi, quando ancora non conoscevo molte persone.
Ho avuto anche l’occasione di lavorare per un mese in un reparto di neurochirurgia, e per quanto sia stato estremamente pesante da un punto di vista fisico ed emotivo, ne è valsa totalmente la pena. Mi sono avvicinato molto a quello che penso che potrò fare “da grande” (spoiler: non il neurochirurgo).
Nonostante il l’emergenza Covid-19, e nonostante io sia dovuto tornare a casa per quasi due mesi, sono riuscito a tornare a Berlino e a terminare l’anno scolastico lì. È stato diverso, ma non per questo è stato meno bello. Indossare una mascherina prima di uscire non ha certo impattato sulla qualità del tempo che ho passato.
Di solito nella vita quando stai bene e sei felice di quello che stai facendo, capita di sentire questa felicità in sordina, come qualcosa che dai per scontato. O semplicemente non te ne accorgi finché poi non è troppo tardi. Per me non è stato così. Ho voluto questa esperienza Erasmus e me la sono goduta dal primo istante. Sapevo di stare bene e sapevo che era quello che volevo fare. Motivo per cui, dopo un solo mese a Berlino, ho mandato un paio di mail per candidarmi al bando dell’anno successivo. Era impossibile per me pensare che un mondo del genere potesse finire.
Oltre a tutte le persone che ho avuto l’occasione di conoscere e che sono diventate per un anno, e per la vita, fratelli e sorelle, ho avuto modo di conoscere meglio me stesso. Sono pronto a partire di nuovo, con un’ottica diversa, e mi sento di dire a tutti: non perdete questa occasione.
* 24 anni, di Roma, quinto anno del corso di laurea in Medicina e chirurgia, facoltà di Medicina e chirurgia, campus di Roma