Il nuovo vaccino anti-Covid annunciato dalla multinazionale americana del farmaco Pfizer è la notizia che il mondo aspettava. Altri vaccini sono alla sperimentazione finale, almeno undici ormai nella cosiddetta fase III (AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sanofi). C’è stato anche l’annuncio del vaccino di Moderna, che però darà precedenza alla distribuzione negli Stati Uniti. Intanto sono partiti gli ordinativi a livello mondiale per il vaccino della Pfizer, che presenta due caratteristiche pregnanti: un’efficacia di oltre il 90%, e la necessità di essere conservato a -70°C.
Ed è qui il problema, come spiega il professor Luca Lanini, docente di Logistica e Supply Chain Management del Master SCHMIDT dell'Università Cattolica: «Tutto si sposta sulla corretta gestione della catena del freddo lungo tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione finale, fino alla somministrazione ai pazienti. Ebbene, la consegna dei vaccini in quantità enormi ed in tempi strettissimi rappresenterà la più grande sfida logistica a cui la Storia abbia mai assistito. E questo sia che si consideri il vaccino che deve essere conservato a -70, che se si considera il vaccino stabile per 30 giorni a temperature standard di refrigerazione tra 2° e 8° C, come quello di Moderna: l’aspetto organizzativo della logistica e il problema della security rimangono».
Container per lo stoccaggio, cooling box refrigerati ad azoto liquido, trasporto medicato, transit point. Tra la produzione di vaccino alla sua somministrazione c’è un mondo… di logistica. Professor Lanini, che sforzo sarà necessario?
«Ad averlo ben chiaro sono i tedeschi della DHL, che insieme a McKinsey hanno studiato l’impatto del vaccino a -70°C sulla logistica. Un lavoro prezioso e strategico che affronta il tema lavorando su ogni anello della supply chain: dal primo trasporto - dal laboratorio di produzione ai diversi HUB nazionali di stoccaggio-, per passare al transit point di smistamento fino al delivery dell’ultimo miglio con la consegna ai luoghi di somministrazione medica».
La pianificazione è tutto...
«DHL stima una preparazione mondiale di 10 miliardi di dosi, trasportati con 200 mila pallet, prevedendo l’utilizzo in due anni di 15 mila aerei cargo e 15 milioni di di contenitori refrigerati. Per l’Italia e per i suoi 40 milioni di dosi necessarie della prima fase, arriviamo a stimare oltre 800 pallet ma, soprattutto, da 65 a 70 mila box da consegnare. Un lavoro enorme: Malpensa si sta organizzando per creare gli spazi per le celle frigorifere di 5.000 metri cubi».
Quale tecnologia consente di raggiungere la temperatura richiesta?
«La refrigerazione attiva dei REEFER container è particolarmente diffusa nel mondo, ma diventa difficile applicare questa tecnologia lungo tutta la supply chain, anche per i limiti dovuti alla sua alimentazione elettrica. Le altre due modalità sono il ghiaccio secco e l’azoto liquido. Il progetto Pfizer propende per il ghiaccio secco. Insomma la tecnologia c’è, non bisogna certo inventarla. E fino all’arrivo del vaccino alle piattaforme di stoccaggio in Francia, Germania e Italia il processo è gestibile».
Il problema quindi è nell’ultima tappa?
«Il problema è nel last mile, l’ultima consegna. Una volta che il vaccino arriva in Italia in quattro, cinque piattaforme di stoccaggio, come assicuriamo la consegna alle Ausl alle farmacie agli ospedali? In questo tratto finale è difficile garantire la dotazione di un container a -70°. Paradossalmente è un problema operativo su cui non ci si è interrogati».
Che soluzione possibile vede?
«L’unica soluzione tecnologica che vedo è la costruzione di piccoli container aereo, trasportabili in un camion, dotati di spina elettrica collegabile al sistema del camion. E poi c’è il tema dello stoccaggio: occorrerebbe che farmacie e ospedali si dotassero di frigoriferi a -70°, e mi sembra difficile. È più facile che si creino tende da campo con all’interno un mega contenitore refrigerato dove i cittadini faranno la fila per vaccinarsi. Quel che è certo è che serve un coordinamento, una pianificazione, una sinergia con tutti gli altri aspetti che non ho toccato, primo fra tutti la security da implementare per questi trasporti, un reale tema di sicurezza nazionale».
Questo vale per i paesi “ricchi”. I paesi in via di sviluppo come potranno attrezzarsi di questa supply chain che comporta necessariamente costi elevati?
«Il dilemma è sempre sullo squilibrio fra ricchi e poveri. È certo che questo vaccino porterà ad un rafforzamento della divisione fra questi due mondi, perché i paesi poveri non avranno certo facilità a distribuire in due settimane il vaccino e quindi ancor meno possibilità di stoccare grandi quantità di vaccino dopo i 15 giorni, visti gli elevati costi dei congelatori a queste temperature. Anche questo aspetto va tenuto sempre presente e mai dimenticato».