[…] Non passa purtroppo giorno che il calcio non guadagni gli onori della cronaca “non sportiva” con violazione delle leggi e commissione di illeciti nazionali e internazionali di vario tipo. Ci possiamo interrogare su come tutto ciò possa accadere. Probabilmente una prima risposta è proprio nell’insieme di regole che governa il settore e che appare oggigiorno, sotto vari profili, inadeguato; una seconda risposta è costituita dalla bolla finanziaria (non ci sorprende la notizia che il campionato degli spendaccioni, per quest’estate, resti la Premier League, che supera il tetto di 1,18 miliardi di euro di spesa messi sul mercato dalle venti squadre della massima serie inglese; dietro alla Premier, per spesa complessiva, si piazza la nostra serie A: 576,45 milioni di euro spesi dalle squadre italiane sul mercato, che fanno della massima serie il secondo campionato europeo per uscite totali della recente sessione estiva); una terza risposta è l’esistenza di squilibri strutturali di cui, ad esempio, l’ingente indebitamento delle principali società di calcio è solo un esempio.
Non è solo l’eccessivo indebitamento, non è solo l’eccessiva dipendenza dai diritti Tv (nel momento in cui la Tv si è accorta che lo sport si è trasformato in un formidabile veicolo pubblicitario, il suo obiettivo primario diventa acquistare, in esclusiva, il diritto di trasmissione), ma sono anche i conflitti di interesse riscontrabili a vario livello e l’illegalità vera e propria molto diffusa.
Non si dimentichi poi che il vero fine della squadra professionistica è quello di massimizzare l’utilità, che in prima approssimazione coincide con quella dei dirigenti, dei giocatori, dei tifosi e degli azionisti. Questa comunità di interessi è una peculiarità dell’impresa sportiva e si esprime nella convinzione per tutti i soggetti di giocare per il successo. Se infatti si tenta e si riesce a massimizzare il successo, verrà soddisfatta l’utilità dei presidenti delle società di calcio (visibilità mediatica, prestigio, possibilità di nuovi affari per altre attività extracalcistiche), dei maggiori azionisti, dei giocatori (aumento degli ingaggi) e dei tifosi (soddisfazione della passione sportiva).
Il “benessere” della società sportiva dipende conseguentemente da quattro fattori principali: 1) successo o piazzamento in campionato (numero di partite vinte); 2) affluenza del pubblico allo stadio; 3) stato di salute della Lega a cui la società è affiliata; 4) ammontare dei ricavi. Il conseguimento dell’utile di esercizio diventa quindi il mezzo mediante il quale un club professionistico può acquistare notorietà attraverso la massimizzazione del successo sportivo.
Il raggiungimento di condizioni di equilibrio economico e patrimoniale, tuttavia, non è generalmente riscontrabile nella realtà del nostro Paese: finisce il calciomercato e in Italia, i padroni del calcio, i grandi azionisti dei club della serie A sono chiamati volta per volta a mettere mano al portafogli nonostante l’esistenza di parametri di vario tipo da rispettare durante l’esercizio che, tuttavia, possono avere effetti distorsivi o che non consentono un adeguato monitoraggio della gestione aziendale.
[…] Il rispetto di parametri economico-finanziari (o il loro superamento entro prefissate “soglie di tolleranza”, con tutti i limiti propri di qualsivoglia indicatore statico della gestione) previsti localmente dalle singole federazioni nazionali o dall’Uefa (si pensi alle regole del financial fair play, Ffp) non sembra sufficiente: ciò che rende razionale la gestione aziendale è l’implementazione di un adeguato sistema di programmazione e controllo di gestione e il rispetto di coerenti budget aziendali a breve, a medio e a lungo termine formalizzati e fatti propri dall’organo amministrativo (Consiglio di amministrazione) nonché una maggior e miglior trasparenza nella comunicazione dei dati patrimoniali, finanziari ed economici a livello di gruppo aziendale (obbligatorietà della redazione del bilancio consolidato di gruppo nella logica dell’individuazione della cosiddetta reporting entity).
Da ultimo va valutata la possibile evoluzione futura: probabilmente il modello europeo (una squadra di calcio, di basket, di pallavolo, di pallanuoto può qualificarsi per campionati a livello superiore ottenendo una promozione; dall’altro lato ci sono squadre che in ragione dei risultati ottenuti durante l’anno verranno retrocesse a un livello inferiore) evolverà verso il modello statunitense (un sistema basato su un modello senza promozioni e retrocessioni; le squadre, una volta inserite in un campionato, continuano a competere fra loro e, alla fine dell’anno, vi è un vincitore nazionale ma le squadre peggiori non vengono retrocesse e, attraverso il meccanismo delle scelte, potranno meglio competere la stagione successiva). […]
* Claudio Sottoriva è professore aggregato di Metodologie e determinazioni quantitative d’azienda presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. È membro dell’European Accounting Association (Eaa) e dell’European Corporate Governance Institute (Ecgi). È autore di numerosi scritti in materia di bilancio delle società e di contabilità. Revisore legale dei conti, è componente della Commissione controllo societario dell’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili di Milano.
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