di Silvano Petrosino *

Nel corso di un’intervista pubblicata nel 1983, a una domanda sui suoi svaghi, de Certeau risponde: «Un altro svago è viaggiare. Andare altrove: altre persone, altri paesi, altre esperienze. Il lavoro tecnico, rigoroso, eremitico, è necessario ma si deve poter respirare — inspirare, piuttosto: lasciar entrare l’aria che viene da altrove. E il mio, il mio modo, è quello di attraversare altri spazi e apprendere altre domande, che si inseriranno poi in questo lavoro tecnico. Occorre alienare il proprio piccolo sapere, provare a perderlo, praticare l’oblio che è vacanza e vuoto offerto ad altri» (de Certeau, Storia e psicoanalisi, p. 37). Questa aria che viene d’altrove — magnifica immagine che tra l’altro aiuta a non dimenticare quella che Lacan ha felicemente definito «la funzione creatrice della verità nella sua forma nascente» […] questa aria che viene d’altrove è per l’appunto quella che lo «storico» de Certeau ha sentito provenire dalla mistica.

Nella sua introduzione a Fabula mistica, Carlo Ossola osserva che, sotto le spinte delle rotture avvenute tra il 1956 e il 1968, la domanda che muove lo studioso francese riguarda in verità la natura stessa del fare storia, l’obiettività della conoscenza storica: «In quel contesto, la mistica sarà, per Michel de Certeau, narrazione di una perdita e — con l’aggiunta di una “direzione” lacaniana — enunciazione di un desiderium, la nostalgia dell’assente come desiderio del suo ritorno» (Fabula mistica, Jaca Book 2008, p. XLII).

Oggi come sempre — ma alcuni potrebbero dire soprattutto oggi, dove si rischia costantemente da una parte di restare intrappolati nel chiuso dei molti e potenti riduzionismi tecno-scientisti e dall’altra parte di restare schiacciati sotto il peso di altrettanto claustrofobici fondamentalismi religiosi — bisogna poter respirare, «inspirare, piuttosto, lasciando entrare l’aria che viene d’altrove»: l’opera di de Certeau continua a ricordarcelo. Ultima pagina di Fabula mistica: «È mistico colui o colei che non può fermare il cammino e che, con la certezza di ciò che gli/le manca, sa di ogni luogo e di ogni oggetto che non è questo, che qui non si può risiedere né accontentarsi di quello. Il desiderio crea un eccesso. Eccede, passa e perde i luoghi. Fa andare più lontano, altrove» (p. 353).

Silvano Petrosino insegna Filosofia della comunicazione e Filosofia morale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano e Piacenza. Tra le sue ultime pubblicazioni: Abitare l’arte. Heidegger, la Bibbia, Rothko (2011), Capovolgimenti. La casa non è una tana, l’economia non è il business (2012), Soggettività e denaro. Logica di un inganno (2012) e, per l’Editrice Vita e Pensiero, Ripensare il quotidiano (2012), Elogio dell’uomo economico (2013), Pane e Spirito (2015).


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