Le sfide del mondo post bipolare, il passaggio dalla hard security alla soft security, la porosità dei confini nazionali, l’instabilità del Medio Oriente e di una vasta porzione dell’Africa. Queste sono soltanto alcune delle sfide che si trova a fronteggiare il sistema di intelligence italiano, che sono state presentate in un incontro rivolto agli studenti in Università Cattolica a Milano il 29 novembre, presieduto dal rettore Franco Anelli.
Per Bruno Valensise, direttore della scuola di formazione del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, sta per tramontare la distinzione tra sicurezza interna e sicurezza esterna. I servizi di sicurezza devono adeguarsi a questa richiesta di sinergia, affiancando alle vecchie competenze nuovi campi di intervento. Alle lingue e all’analisi geopolitica si sono affiancate le materie energetiche ed economiche. Si cercano soggetti in grado di mettere in campo specifiche particolarità, eccellenze.
Ma come avvicinare i potenziali candidati ai servizi di intelligence? «Diventa sempre più importante raccontare ai nostri cittadini ciò che siamo e che facciamo, combattere molte delle dicerie e delle zone d’ombra che ancora circondano la nostra istituzione. Punto di partenza obbligato sono le scuole superiori e le università», afferma Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile comunicazione istituzionale del dipartimento delle informazioni per la sicurezza.
Per moltissimi i servizi di intelligence sono ancora associati alla licenza di uccidere di Bond o alle trame oscure delle cellule deviate. Secondo una recente inchiesta l’80% degli intervistati ammette di sapere poco o nulla dei servizi informativi del nostro paese. Il 60% ignora completamente il contenuto della legge 124/2007 che impegna un riformato servizio di intelligence a raccontarsi ai cittadini e a rendere sempre conto del proprio operato al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica). «Non c’è nessun lavoro sporco o fantomatico squadrone della morte; siamo uomini e donne, professionisti, che operano all’interno di un quadro normativo molto rigido e ben definito», aggiunge Castelbianco.
Molti studenti si chiedono come si ponga la nostra intelligence rispetto allo scandalo del Datagate. Risponde Marco Minniti (a sinistra nella foto), sottosegretario del ministero della Difesa: «Le informazioni vanno ottenute con gli strumenti più variegati, invasivi a volte, ma sempre regolati dal sistema legislativo. Il nostro scopo ultimo è la libertà dei cittadini italiani. Nelle democrazie moderne libertà e sicurezza non possono essere separate. È necessario creare una rete informativa perché le minacce esterne e interne, terrorismo in testa, vengano ragionevolmente prevenute».