«Avevo tre anni quando è stato eletto e sei quando è stato ucciso a Dallas. Tutti voi ricordano l’11 settembre 2001. Ecco, per la mia generazione l’assassinio di Jhon Kennedy ha avuto lo stesso impatto a livello emotivo». Il console generale degli Stati Uniti a Milano ospite dell’Aseri, Kyle R. Scott (nella foto con il professor Parsi), si abbandona per un attimo al suo vissuto nel ricordare il 22 novembre 1963, giorno dell’omicidio del presidente Kennedy. «Fino a 20 anni fa - afferma - veniva sempre ricordato dagli americani tra i tre più amati presidenti degli Stati Uniti, subito dopo George Washington e Abramo Lincoln. Poi molti storici si sono presi la briga di fare del revisionismo, andando spesso a calcare la mano sulla vita privata e sentimentale di JFK. Spesso si è finita per perdere di vista la sua visione politica, rivolta ben oltre i confini del paese che lo ha eletto. È giusto ricordarla».
Come ha fatto il convegno “The Kennedy Legacy 50 years after Dallas: domestic and international prospectives”, promosso dall’Aseri e dal suo direttore Vittorio Emanuele Parsi. «His vision was an inspiration all over the world». Parla in inglese il console americano: «Dopo soli sei anni come senatore degli Stati Uniti, battè Richard Nixon alle elezioni presidenziali con uno scarto percentuale dello 0,2 per cento. Non era così popolare come si può immaginare oggi, ma seppe presto recuperare. Aveva capito l’importanza della televisone per creare consenso e vinse proprio grazie al suo utilizzo. Fu il primo presidente televisivo della nostra storia». Scott tratteggia l’elogio del presidente americano: «Era un uomo giovane, proiettato nel futuro. Seppe cogliere la sfida spaziale con l’Unione Sovietica imponendo nel 1961 la volontà di portare un uomo sulla Luna entro la fine degli anni ’60. La sua intuizione ci regalò la vittoria, ma il gesto di un folle non gli permise di celebrala».
Kennedy puntò gli occhi sulla Luna, senza dimenticare i troppi problemi che affliggono la Terra. La lotta alla povertà e alla discriminazione razziale restano i capisaldi della sua amministrazione e del programma politico del partito democratico americano. Sollecitato da uno studente su quali possano essere le analogie tra John Kennedy e Barack Obama, Scott interrompe per un attimo il suo discorso. Poi risponde, con un sorriso carico di significato, che Obama non sarebbe presidente senza Kennedy.
«Come tutti gli inquilini della Casa bianca, JFK dovette conciliare le promesse del politico in campagna elettorale con l’interesse nazionale». Proprio su questo punto si può trovare l’analogia più interessante con Barack Obama, come non hanno mancato di far notare diversi studenti. La sua amministrazione si trova ad affrontare lo scandalo Datagate, con lo stuolo di polemiche che segue su entrambe le sponde dell’Atlantico. «Il Datagate ha sollevato una questione fondamentale per qualunque governo democratico. Dobbiamo sforzarci di trovare un equilibrio tra le possibilità che ci dà oggi la tecnologia nella ricerca di informazioni e i diritti dei nostri cittadini e degli stati nostri alleati. Detto questo - aggiunge Scott - vi posso assicurare che Google, Facebook e Yahoo possiedono su di voi molte più informazioni sul vostro conto di quante ne potrà mai raccogliere il mio governo».
Il Datagate ha portato con sé un grave stallo nel raggiungimento del nuovo protocollo di libero scambio tra il mercato Usa e Ue, favorendo tutta una serie di soggetti che traggono enormi benefici dalla mantenimento di standard differenti e dall’assenza di concorrenza. «Mi auguro che l’Ue capisca che ha negli Stati Uniti il suo più grande partner e alleato, per i valori che ci legano e ci accomunano. Qualunque sfida ci attenda nel futuro, voi sarete i primi ai quali ci rivolgeremo. Spero anzi, che continuerete il vostro progetto di espansione dei vostri confini. Inutile dire che la recente svolta politica in Ucraina mi amareggia molto». Il console conclude la sua riflessione soffermandosi sul ruolo della Russia, che sta riscoprendo una politica estera molto aggressiva finanziata dai guadagni del settore energetico (60% del Pil russo). «I rapporti si sono notevolmente raffreddati negli ultimi anni. Non siamo di certo alleati, ma, volenti o nolenti, dobbiamo collaborare. Putin è l’unico leader mondiale che può ordinare di distruggerci anche domani stesso. It is what it is».