di Nicolangelo D'Acunto *
L'invenzione delle Settimane della Mendola, che dal 1959 costituiscono uno dei grandi appuntamenti della medievistica internazionale, e da qualche anno sono riprese in forma nuova nella sede bresciana dell'ateneo, si deve a Cinzio Violante, che, giunto all'Università Cattolica nel 1956, con il consenso di padre Gemelli, intese organizzare un momento di confronto dei migliori specialisti di storia dei secoli XI e XII. Obiettivo principale di Violante era quello di aprire la storiografia italiana alle novità provenienti dalla ricerca scientifica europea e nordamericana, con particolare riguardo alla costruzione della Christianitas e al funzionamento delle sue strutture e istituzioni.
Il modello della Mendola era quello delle Settimane di Spoleto sull'Alto Medioevo, che avevano riaperto il dialogo tra le scuole storiografiche europee dopo la parentesi della seconda Guerra mondiale. Per realizzare la loro ambiziosa iniziativa l'allora giovane cattedratico, con il supporto del suo assistente, Cosimo Damiano Fonseca, scelse il Centro che l'Università Cattolica aveva costituito al Passo della Mendola, che nel frattempo aveva ospitato numerosi convegni e seminari, diventando un punto di riferimento del dibattito culturale e politico del cattolicesimo italiano. Il fondatore dell'Università Cattolica morì il 15 luglio 1959. La settimana sulla vita comune del clero si sarebbe aperta il 4 settembre dello stesso anno. È comunque interessante notare che lo spirito con cui, di concerto con il Rettore, i pionieri Violante e Fonseca avevano concepito il convegno coincideva con l'ispirazione stessa che aveva animato l'istituzione del nostro ateneo. In comune le due iniziative avevano un confronto con gli orientamenti più aggiornati della migliore ricerca scientifica, un confronto libero da qualsiasi pregiudizio, men che meno di natura apologetica.
Il problema era delicato proprio perché l'epoca sulla quale Violante voleva aprire il dialogo con il mondo scientifico aveva costituito e in parte ancora costituiva uno dei cardini del progetto culturale di Gemelli: il medievalismo appunto. Sarebbe molto interessante confrontare quel medievalismo con il volto della Christianitas offerto dagli studiosi riuniti alla Mendola. Un confronto che certamente ci riserverebbe molte sorprese, proprio perché dalle Settimane, che con cadenza triennale si sarebbero svolte fino al 2007 in mezzo alle montagne dell'Alto Adige, l'immagine stessa dei secoli centrali del medioevo uscì profondamente cambiata rispetto a quella che Gemelli aveva ereditato dalla storiografia della fine del secolo XIX. Insomma così come non era affatto scontato aprire un dibattito scientifico su uno dei punti focali dell'identità profonda dell'università Cattolica, coinvolgendo anche studiosi che non esitavano a dichiarare la propria lontananza cattolicesimo, altrettanto imprevedibili erano gli esiti scientifici di quella iniziativa, che tenne legati Violante e Fonseca al nostro ateneo e in particolare alla facoltà di Lettere, anche dopo la loro partenza da Milano.
Nel frattempo le venti settimane della Mendola, passate dalla grande trasformazione voluta nel 2009 da Giancarlo Andenna, che pure ne ha conservato in pieno lo spirito originario, sono diventate un appuntamento fisso della medievistica internazionale e continuano a proiettare il nostro ateneo nel vivo della ricerca scientifica ai massimi livelli. Particolarmente interessante il tema del convegno che si è svolto dal 12 al 14 settembre nella sede di via Musei, il quarto della nuova serie, che ha messo a tema l'emergere nei secoli XI-XIII del principio della responsabilità personale e dello slancio creativo individuale. Da studioso di storia moderna non posso esimermi dal notare che proprio il rapporto tra medioevo e modernità fa da sfondo a questa tematica. È a tutti noto quanto Jakob Burckhardt vedesse nel Rinascimento italiano la nascita dell'individuo e quindi dell'uomo moderno, incarnato in personaggi eccezionali come Leon Battista Alberti. La reazione a questa tendenza ha mirato appunto a rivalutare il medioevo come semenzaio dell'Occidente e il nostro convegno ha voluto proprio indagare sui riverberi di questa trasformazione sulla riflessione filosofica e teologica oltre che sui comportamenti concreti, regolati attraverso la codificazione della confessione individuale e lo sviluppo della giustizia penale. Ne usciva un modello nuovo di uomo, responsabile delle proprie azioni e per ciò stesso capace di proporre la sua creatività come fattore di trasformazione del mondo. Nasceva così l'uomo moderno, l'uomo occidentale? Non è forse questa la prospettiva da adottare in questo genere di ricerche, ma l'interrogativo sorge legittimo in una fase come quella che stiamo vivendo, nella quale la tecnologia e la scienza hanno riaperto in termini inimmaginabili fino a un recente passato la cosiddetta questione antropologica. La crisi dei modelli che abbiamo ereditato dal medioevo e dalla modernità ci impone di comprenderne le radici remote, che spesso scopriremo essere radici cristiane.
* Docente di Storia medievale