«Quarantotto ore, lo becchiamo e tutti in ferie», riferisce il commissario all’ispettore Montella, interpretato da Silvio Orlando, unica figura di fantasia del film tv Il delitto di via Poma, presentato in anteprima il 5 dicembre in aula Pio XI in Università Cattolica, alla presenza del regista Roberto Faenza, del produttore Pietro Valsecchi, del direttore Fiction Mediaset Giancarlo Scheri, del professore di Storia della televisione Aldo Grasso e dello stesso Orlando.
Sono invece passati ventuno anni dall’estate romana del 1990, quel pomeriggio del 7 agosto, quando Simonetta Cesaroni venne brutalmente massacrata da mani che ancora oggi rimangono senza nome. Indagini infinite, un portiere accusato di omicidio e poi scarcerato, il caso finito in un vicolo cieco a metà anni Novanta e poi riaperto nel 2004, la difficoltà degli inquirenti di violare la coltre di segreti e bugie dei principali protagonisti. Un percorso accidentato nel quale troverà la morte, questa volta però per suicidio, una delle figure più importanti della vicenda, Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile in via Poma dove Simonetta visse le ultime ore della sua vita. È proprio con la scena del suicidio di Vanacore, il 10 marzo 2010, che si apre il film, a Torre Ove, sulla spiaggia dove l’uomo porrà fine ad anni di sofferenze e di sospetti.
Al termine della scena, Faenza ci porta indietro nel tempo, nella giornata fatale per Simonetta. È il 7 agosto 1990, disegnato con un climax che parte dalla mattina in cui la ragazza esce per recarsi al lavoro, e si conclude nello studio dove verrà uccisa. Simonetta è rimasta sola, un ascensore sale fino al piano dove lavora, l’inquadratura stringe sulle gambe e sulle scarpe dell’assassino. Ci si ritrova subito nella stanza, solo alcune immagini che lasciano intuire l’epilogo dell’omicidio. Il racconto di Faenza procede con le indagini e subito emerge la figura dell’ispettore Montella, capace di condurre lo spettatore lungo le fasi dell’inchiesta alleggerendole con piccoli incastri di commedia, soprattutto attraverso i dialoghi con la moglie e con il suo assistente. Orlando è il poliziotto che entra in forte sintonia con Paola, la sorella di Simonetta. È lei che lo coinvolge nel caso, è il suo dolore che costringe Montella a interrogarsi sulle proprie responsabilità di investigatore e sulla forza di questa giovane donna in perenne ricerca della verità.
«Abbiamo voluto dare importanza al personaggio di Paola con la sua umanità – aggiunge Faenza – e affiancarla alla figura fantasiosa dell’ispettore Montella, capace di tenere alto il valore morale di chi ha compiti molto delicati». Silvio Orlando vede nella pietas del suo personaggio la chiave «per entrare in empatia con il dolore dei parenti della vittima. È la prima volta – continua – che mi avvicinavo a una storia vera, ma la sceneggiatura mi ha tranquillizzato perché non segue l’aspetto più cruento e morboso della vicenda». Il film, però, non tralascia gli aspetti critici, soprattutto legati alle lacune dell’indagine e ai tempi lunghi di una giustizia incapace di arrivare alla verità, commettendo gravi errori, come nel caso della prova scientifica della saliva trovata sul reggiseno della Cesaroni, riconducibile a Raniero Busco, all’epoca fidanzato della ragazza e ora unico accusato per l’omicidio dopo la riapertura del caso. Una prova non sigillata e quindi probabilmente non più utilizzabile.
Proprio su Busco, a margine della presentazione, c’è anche l’accenno alla diffida presentata dal suo avvocato contrario alla messa in onda del film. Su quella che può essere l’incidenza della fiction sulla verità processuale, Aldo Grasso non ha dubbi: «La fiction è meno pericolosa dei tanti programmi pomeridiani che schierano parti dell’accusa e della difesa», come è recentemente accaduto per il caso di Avetrana nei programmi televisivi del pomeriggio. «Ha un valore estetico oltre che morale, ma il punto di vista che si assume è più esplicito e dichiarato» non entra nelle nostre teste in maniera subliminale.
Il finale rimane però da scrivere, e come lascia annunciare il finale, tocca alla magistratura farlo: «Abbiamo realizzato un film – conclude Valsecchi – dove la mano dell’assassino è incerta: via Poma è un romanzo senza fine, specchio del paese dei misteri irrisolti, delle verità insabbiate anche a causa della sciatteria di un certo modo di condurre le indagini». Colpevole in primo grado, tocca ora al secondo livello di giudizio stabilire l’innocenza o la colpevolezza di Raniero Busco.