Entrare nella testa della ‘ndrangheta. Studiarla dal punto di vista psicologico per comprendere la sua organizzazione e i suoi meccanismi. È questo l’obiettivo di una ricerca condotta dai docenti della sede bresciana dell’Università Cattolica che hanno affrontato il tema della mafia seguendo un approccio psicologico.
«Abbiamo cominciato – spiega il ricercatore Antonino Giorgi - a studiare la fenomenologia mafiosa ‘ndranghetista in Lombardia sulla scorta di due esperienze: la prima che ci proviene dagli studi precedenti sulla psicologia mafiosa del gruppo di Girolamo Lo Verso (docente di psicoterapia dell’università di Palermo); e la seconda dall’esperienza diretta, che vede la mafia ormai piuttosto radicata in Lombardia. Questo neonato filone di ricerca psicologica, analizza sia come si è strutturata sul piano organizzativo, sia che cos’è un ‘ndranghetista, che cos’è l’organizzazione ‘ndrangheta sul piano psicologico intrapsichico».
«Mentre gli studi di Lo Verso – spiega Chiara D’Angelo, docente all’Università Cattolica di Brescia - riguardano Cosa Nostra e si basano sul contatto diretto con i collaboratori di giustizia, la 'ndrangheta in Lombardia conosce meno il fenomeno dei pentiti. E’ stato messo a punto un approccio diverso, che mira, attraverso interviste semi strutturate, a far emergere dagli interlocutori coinvolti le loro rappresentazioni e i loro vissuti rispetto al fenomeno mafioso. Per conoscerlo, ci siamo avvicinati alle rappresentazioni mentali ed emotive che questo fenomeno genera in chi ci ha a che fare quotidianamente per motivi professionali, e protetti dal ruolo professionale possono parlare della propria esperienza. Gli interlocutori sono stati quindi sacerdoti che lavorano in carcere, in particolare nei carceri lombardi che hanno l’area di alta sicurezza in cui sono presenti ndranghetisti, e rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine che hanno partecipato in Lombardia ad operazioni come Crimine infinito».
Professor Giorgi come mai avete scelto proprio la ’ndrangheta? Ci sono elementi che ne hanno favorito la diffusione al Nord rispetto ad altre organizzazioni criminali, come camorra e cosa nostra?
«Dal punto di vista psicologico la ‘ndrangheta appare come una mafia più capace, ma anche sul piano imprenditoriale. È una mafia che sul piano antropo-psichico sembra più arcaica, granitica che Cosa Nostra; ma è anche una mafia che si insinua e si adatta alle condizioni sociali facilmente: sociologi e storici la definiscono più ‘liquida’ ».
Le strutture arcaiche proprie della madre terra quindi si sono mantenute anche al Nord?
«Stando ai nostri primi dati, possiamo dire che sul piano organizzativo la struttura arcaica si è mantenuta, ma con l’abbattimento di alcuni stereotipi: ad esempio si pensa che rispetto a Cosa Nostra la ‘ndrangheta abbia una struttura non verticistica, che non abbia una cupola; in realtà la ndrangheta ha sì una struttura orizzontale ma anche verticale. La struttura orizzontale è formata dalle ‘ndrine locali, gestite dalle famiglie attraverso il principio di omogeneizzazione geografica, secondo cui una certa zona della Lombardia appartiene a una famiglia, e una certa zona della Calabria appartiene alla stessa famiglia; c’è una suddivisione del territorio come fosse una fotocopia della Calabria in Lombardia. A questo si aggiunge una struttura piramidale, che ne fa un’organizzazione perfettamente “funzionante”, in cui una struttura centrale chiamata “la Lombardia” fa da raccordo con la “casa madre”. Da questa la locale non può staccarsi né psicologicamente né sul piano reale».
E dal punto di vista antropologico i contenuti sono gli stessi da Sud a Nord?
«Assolutamente sì. In apparenza la fenomenologia è diversa: possono indossare abiti più, come dire, modaioli. Ma sul piano della fondazione psichica hanno una struttura identitaria assolutamente arcaica. Sono caratterizzati dal cosiddetto fondamentalismo psichico, con cui si intende una psiche che non può essere ripensata, che non può trovare una sua progettualità né una sua identità personale. L’identità personale coincide perfettamente con l’identità della struttura organizzativa della quale fa parte. Il mafioso è come un replicante della struttura che lo ha concepito».
Parliamo invece di ciò che fa da contorno al fenomeno mafioso, della società che lo deve fronteggiare: penso al caso di Buccinasco, dove le istituzioni sono restie a parlare di ‘ndrangheta nonostante la città venga chiamata la Platì del Nord.
«Mi sembra di ripercorrere, io che sono siciliano, quello che accadeva in Sicilia fino a qualche tempo fa, quando il fenomeno della negazione era evidente. In Sicilia però è più facilmente comprensibile perché c’è una certa comunità di pensiero: Cosa Nostra ha estremizzato i valori di quella terra. Tuttavia nel Nord la ‘ndrangheta trova una continuità antropo-psichica, e una continuità quindi nella possibilità di fare affari perché il sistema antropo-psichico è più individualista, più legato all’io. Abbiamo da un lato una ‘ndrangheta totalizzante, che è interamente “noi”, quindi piena, a fronte invece di un individualismo dove c’è un io assolutamente solo e solitario, vuoto, il cui pensiero è legato esclusivamente a una dinamica interna di riempirsi di oggetti. Entrambi hanno il medesimo scopo, quello dell’arricchimento e soprattutto del potere. Anche se sul piano della costruzione dell’identità attraversano processi assolutamente diversi, credo che queste due identità possano dialogare insieme molto bene».