di Roberto Brambilla
L’Italia non cresce e si piazza all’ultimo posto. Non stiamo parlando di economia o qualificazione ai prossimi mondiali. Il tema è l’educazione. A suonare il campanello d’allarme è il recente rapporto OCSE Education at a glance 2017, che ci posiziona (anche quest’anno) tra i Paesi che poco investono in formazione, fanalino di coda al pari di Messico e Turchia. Solo il 18% degli italiani è infatti in possesso di un titolo di laurea: l’esatta metà della media dei Paesi OCSE. È vero, l’80% dei laureati possiede un lavoro, ma la percentuale scende al 64% se si guarda la fascia dei più giovani, tra i 25 e i 34 anni. A preoccupare è anche un altro fenomeno: i Neet, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non lavorano né studiano, raggiungono nel nostro Paese il 26% della popolazione. Un tasso allarmante. La fotografia può mutare, in meglio o in peggio, a seconda delle variabili geografiche (nord-sud), di genere (maschi-femmine), di titolo di studio (diploma-laurea) ma la sostanza non cambia.
IL PUNTO DI RISCATTO. Quando ci si fermasse al semplice dato numerico, la posizione dell’Italia apparirebbe difficilmente “scalabile” in un contesto internazionale come quello descritto dall’OCSE. A ben guardare, tuttavia, c’è sempre un punto di ripartenza, anche nelle situazioni che a prima vista possono sembrare più compromesse. Non è soltanto una questione di politiche pubbliche. Come l’OCSE non si stanca mai di richiamare, nella contemporanea società della conoscenza il valore del capitale umano risulta determinante per lo sviluppo delle imprese, della produttività, del lavoro. Lavoro inteso come luogo di crescita individuale e sociale, ambito di creatività e di ingegno, trama di relazioni e di soluzioni da ricercare. E la persona è il vero centro di queste dinamiche, snodo su cui puntare e da cui ripartire. Serve a poco bloccare il giudizio alle sole statistiche. Ogni commento risulta sterile, se l’analisi non è seguita alla prova dei fatti da un’effettiva mossa o tentativo di riscatto. Potremmo definirlo: un investimento personale, in spe contra spem. Di fronte a scenari negativi, inutile ogni fatalismo: intanto si può migliorare la propria competenza.
LA SCOMMESSA. Come spesso accade di fronte a situazioni complesse, la stampa preferisce dar risalto a pochi numeri per “strillare” un problema (percentuale laureati o Neet). Ma il fenomeno “educazione” risulta assai più articolato di quanto si sia portati a credere. La formazione oggi si realizza lungo tutto l’arco dell’esistenza. Nelle economie più evolute e a elevato tasso di innovazione, il continuo aggiornamento delle conoscenze è un elemento ormai imprescindibile per garantire sviluppo e competitività alle organizzazioni. All’inizio del 21° secolo, parlare di lavoro e di crescita significa non smettere mai di imparare e mettersi in gioco. La conoscenza va costantemente alimentata. Ecco perché la migliore scommessa in un periodo di difficoltà economica e lavorativa come quello che stiamo attraversando è un investimento in formazione.
I VANTAGGI. Ci sono almeno cinque ragioni per farlo. O, almeno, cinque vantaggi non trascurabili.
1. Studiare significa apprendere nuove competenze. Sono in tanti a sostenere che più della metà dei lavori che esisteranno tra 10 anni non è stato ancora inventato. Aggiornare il proprio bagaglio culturale è il primo modo per essere pronti al nuovo che avanza e non venire presi in contropiede dalle veloci trasformazioni del sistema economico e produttivo. Ma c’è di più.
2. Non si cresce mai da soli. La formazione è sempre un luogo dove confrontarsi con gli altri in un paragone sfidante. È l’importanza che gioca il contesto formativo nel processo di apprendimento. Lavorare con gli altri facilita la conoscenza e permette, all’interno di un costante faccia a faccia con insegnanti e pari, di verificare instancabilmente le raggiunte competenze.
3. La conseguenza principale che deriva dalla partecipazione a un simile learning environment, è la crescita personale e professionale. Là dove questo processo avviene, il risultato in termini di sviluppo umano, culturale e sociale diviene tangibile.
4. Investire in formazione, partecipare a un master, frequentare corsi di aggiornamento, significa anche diventare più competitivi nel mercato del lavoro, acquisire quelle skills che fanno la differenza, aumentare la propria employability e risultare interessanti per i datori di lavoro. Non solo: se già si lavora, vuol dire accrescere la propria professionalità e il proprio rendimento.
5. Da ultimo, un vantaggio che riguarda l’importanza delle relazioni. Il mondo è sempre più reticolare, i sistemi sempre più integrati, il lavoro sempre più interconnesso. Le chance di sviluppo professionale si aprono oggi tra i nodi e gli snodi di queste reti. E i luoghi formativi – gli atenei, le corporate university, le business school – costituiscono un’ottima opportunità per fare network con altri professionisti. Conoscere persone inserite in ambiti lavorativi differenti dal proprio aiuta ad aprire gli orizzonti e aumentare le possibilità di collaborazione. Noi stessi possiamo diventare aiuto per gli altri.
Come rispondere alla fotografia dell’OCSE? Quando le politiche da sole non arrivano, anche pochi semplici passi personali possono portare piccoli positivi cambiamenti.