Mariuccia ha 97 anni portati con eleganza e compostezza. Due occhi lucidi e colmi di gratitudine per una vita piena da raccontare a figli e nipoti, che con cura e dedizione si prendono cura di lei. Dentro di sé un sogno mai tramontato: tornare nei luoghi della sua formazione, tra gli splendidi chiostri del Bramante dove studiò e si è laureò 75 anni fa.
Il sogno è diventato realtà nei giorni scorsi grazie all’aiuto della figlia e all’accoglienza che le ha riservato, a nome della sede, il direttore Mario Gatti, mostrandole una copia della tesi che la professoressa Maria Clotilde Mosconi - Mariuccia per gli amici – discusse nel 1942 sotto la guida del professor Alberto Chiari. Un lavoro dedicato a Maddalena Campiglia, poetessa vicentina del Cinquecento. «Il relatore mi disse: “Le avremmo dato un 110 e lode ma la sua media fa 104 e non riusciamo a darle il massimo voto”» racconta divertita, ricordando che, per paura dei bombardamenti in quel tempo di guerra, la discussione avvenne negli scantinati dell’Università.
A Milano Mariuccia arrivò da Padova perché nell’antichissima università patavina non c’era la facoltà di Magistero. «Il professor Ezio Franceschini, che era molto amico di mio fratello, mi segnalò la Cattolica. Così scelsi di lasciare la mia città per trasferirmi a Milano».
Passeggiando tra i chiostri le tornano alla mente i ricordi di un tempo lontano: l’ingresso, gli alberi, i corridoi del primo piano con le aule, dove andava a lezione. Ricorda quando studiava in biblioteca, le classi divise tra maschi e femmine e la figura, sempre presente, di padre Agostino Gemelli, il fondatore e primo rettore dell’Ateneo.
La memoria ripesca anche un aneddoto: «Ero con un gruppo di amici all’ingresso dell’Università. Padre Gemelli girava spesso nei chiostri e noi studenti avevamo molta soggezione. Si fermò e ci chiese che cosa stessimo facendo. Gli risposi: “Non si sente che stiamo cantando?”. Ci spedì tutti nelle nostre aule perché cantare non si poteva».
In un’altra occasione, invece, il rettore l’aveva convocata nel suo ufficio per dirle: «Signorina, ci sono due studenti che si azzuffano nei chiostri perché entrambi le fanno la corte. Si decida: scelga o uno o l’altro, ma che non ci siano più queste scene nei nostri chiostri!».
Mariuccia sorride a raccontare questi episodi che la portano lontano nel tempo. E non perde il filo del racconto. Dopo la laurea, tornò a Padova, dove iniziò a insegnare: «Ho cominciato in una scuola media, dove insegnavo latino. Poi ho cambiato zona e ho insegnato anche geografia, un’altra materia che mi era cara, anche per come ce l’aveva insegnata il professor Giuseppe Nangeroni».
Il suo desiderio di tornare dopo tanto tempo nei chiostri testimonia un legame con l’Ateneo che dura negli anni e segna nel profondo la vita: «La Cattolica ha significato molto per me: ho fatto incontri importanti, sia per le amicizie nate sia per i professori con cui avevamo grande confidenza e di cui apprezzavamo come insegnassero con amore» conclude Mariuccia.
«I nostri alumni - afferma il rettore Franco Anelli - sono la migliore testimonianza della missione formativa dell’Università Cattolica: possiedono e diffondono un patrimonio di esperienze umane, culturali e professionali di inestimabile valore per l’intera società». Maria Clotilde Mosconi ne è un caso esemplare.