di Andrea Terzi *
Il 15 gennaio, poco dopo le 10, la Banca nazionale Svizzera (Bns) ha emesso un breve comunicato che ha messo fine al provvedimento che imponeva un limite massimo al valore del franco in euro. Nei minuti successivi, gli ordini di acquisto di franchi che contavano sul tetto fornito dalla Bns (con 1 franco e 20 centesimi si poteva acquistare al massimo 1 euro) hanno improvvisamente scoperto che il tetto non c’era più. E per alcuni minuti, 1 franco e 20 centesimi hanno potuto comprare quasi 1 euro e 40 centesimi.
Grande sbigottimento nei mercati, dunque. Il sito che quota il tasso Libor in franchi ha sospeso eccezionalmente la pubblicazione in tempo reale. Gli uffici cambi per i turisti in Svizzera ieri cambiavano al vecchio cambio in attesa di disposizioni. Nessuno aveva percepito alcun sentore di una mossa del genere.
Da un buon quarto di secolo, le banche centrali ci avevano abituato a decisioni annunciate, preparate con attenzione mediatica, che quando sono annunciate sono già considerate probabili dagli operatori. Ne abbiamo visto diversi esempi in questi anni, dalla Fed come dalla Bce.
Ma questa volta la Bns ha preso in contropiede tutti, e in poche ore si è scatenato un effetto a catena, a partire da chi, fuori dalla Svizzera, ha debiti denominati in franchi (come per esempio in Ungheria e in Polonia), e che ha già coinvolto almeno due intermediari (a New York e ad Auckland) costretti a sospendere l’attività a causa delle ingenti perdite.
Perdite rilevanti anche sulla borsa svizzera. La prospettiva di un franco del 10-15% più caro significa cali importanti del fatturato e degli utili del settore esportatore, come nel Jura, dove oltre il 90% della produzione di orologi è venduto all’estero, come nel turismo, o come nelle regioni più prossime al confine dove con un breve viaggio si possono fare acquisti in euro.
Una cosa è certa: il prezzo del franco è di nuovo interamente scandito dalla domanda di franchi a fronte della loro disponibilità sul mercato. Come il dollaro, come l’euro. La stessa Bns soffre perdite rilevanti, stimate oltre i 40 miliardi di franchi. Trattandosi di una banca centrale (che è sempre in grado di pagare i propri debiti nella propria moneta) si tratta di perdite puramente contabili, che potrebbero al massimo sollevare qualche polverone politico. E tuttavia ci si domanda, come è ovvio, quali saranno gli effetti. E visto l’effetto sorpresa, in molti si chiedono quali siano state le motivazioni della Bns.
Un’opinione diffusa in queste ore è che la Banca nazionale abbia inteso sganciarsi da un impegno non esente da rischi prima di essere costretta a farlo, sull’onda delle imminenti elezioni greche e delle decisioni di Draghi a Francoforte.
Ma c’è qualcosa di più. Il motivo esplicito nel breve comunicato della Bns è che il deprezzamento del franco nei confronti del dollaro era diventato eccessivo. Si annuncia anche un’ulteriore riduzione dei tassi d’interesse fino a -1.25%, molto più in basso del tasso negativo della Bce (-0.20%), facendo intendere che i tassi negativi avranno l’effetto di evitare un eccessivo deprezzamento sull’euro.
Ma in questa strategia potrebbe esserci un punto debole. Come ho cercato di spiegare in Salviamo l'Europa dall'austerità (Vita e Pensiero), il denaro in circolazione e quello che forma i nostri risparmi può venire solo da a) prestiti bancari, b) dall’estero quando un paese esporta, e c) dal disavanzo pubblico. Se il franco resterà caro nonostante i tassi negativi, la Svizzera venderà meno all’estero, e con una politica fiscale nazionale orientata al pareggio di bilancio (come in Europa) sarà inevitabile un’ulteriore contrazione dei redditi, della produzione e dell’occupazione.
* docente di Economia alla Franklin University Switzerland e Research Associate al Levy Economics Institute di Bard College (NY). Insegna anche Economia monetaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano