«Il Concilio Ecumenico Vaticano II si è chiuso da appena tre giorni: parlarne in forma adeguata, e in sede universitaria, è naturalmente prematuro. Esso è stato, come ha scritto il nostro Cardinale Arcivescovo nella sua ultima lettera conciliare ai milanesi, che porta la data del giorno di S. Ambrogio, “un nuovo evento pentecostale, che spalanca porte e finestre, che ravviva ogni stagnante atmosfera, che abbatte muraglie anguste e angustianti, che sospinge la Chiesa verso l’avvenire incontro a Cristo che ritorna”».
Con queste parole il rettore Ezio Franceschini aprì il discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico l’11 dicembre 1965 (nella foto sotto). Per la prima volta l’ateneo del Sacro Cuore rompeva la tradizione di inaugurare le attività accademiche l’8 dicembre proprio perché in quel giorno papa Montini aveva chiuso il Concilio Ecumenico Vaticano II con la solenne cerimonia di consegna dei messaggi al mondo dei Padri conciliari, tra cui, sono ancora parole del rettore, «quello stupendo agli intellettuali, che abbiamo ascoltato il giorno dell’Immacolata».
Un momento storico, fa notare il professore Angelo Bianchi, preside della facoltà di Lettere e filosofia che organizza dal 14 al 16 maggio il convegno “Il Concilio Vaticano II e l’umanesimo contemporaneo”, con l’obiettivo di fornire uno sguardo multidisciplinare sul ruolo e sugli esiti che la riflessione conciliare ha esercitato in alcuni ambiti della cultura contemporanea e, più in generale, nel campo degli studi umanistici.
E proprio l’assise ecumenica - voluta da papa Giovanni XXIII, appena proclamato Santo, e portata a termine da papa Paolo VI, che verrà proclamato Beato il prossimo 19 ottobre, come ha ufficializzato proprio in questi giorni il decreto papale che ha riconosciuto il miracolo attribuito alla sua intercessione - individuò nel dialogo con la cultura uno degli obiettivi della conversione pastorale della Chiesa e uno dei “segni dei tempi” a cui dare risposta. «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio», scriveva papa Montini nella terza parte dell’Ecclesiam suam.
Ma, per farlo, aveva bisogno di “otri nuovi”. «Uno di questi - commentava Franceschini - dovrà diventare anche la nostra Università, che è stata, da sempre, definita, e sostanzialmente è un’opera della Chiesa nel campo della cultura: e segue quindi, nella sua storia, la storia della Chiesa».
Un compito che il rettore vedeva come strettamente connesso alla valorizzazione del ruolo della laicità e del laicato emersa in modo netto dalla visione conciliare: «Il dialogo con il mondo della cultura sarà prevalentemente affidato ai laici che in esso vivono; e in modo del tutto particolare alle Università cattoliche, fondate dalla Chiesa in ogni parte del mondo come opere destinate ad essere una presenza ed una testimonianza di fede nel campo del sapere umano: a questo compito, finora prevalentemente apologetico e formativo, si affianca ora quello missionario della ricerca del dialogo».
Il rettore indicava in particolare una strada per dare seguito a tutto ciò: «Uno studio attento e intelligente delle esigenze della cultura contemporanea, perché più fecondo possa essere il dialogo da aprire con essa». Uno studio che avrebbe dovuto comportare anche «un adeguamento di strutture» e «una prudente revisione dello Statuto dell’Università». E questo perché «la Chiesa non ci chiede più soltanto testimonianze di singoli, ma la testimonianza di una vera comunità presente e operante come tale sull’intera superficie dei suoi impegni scientifici, culturali, educativi, formativi».
«Questo studio servirà, nel dialogo, a tenerci sempre all’altezza dell’interlocutore, cioè di coloro che il Concilio ha salutato, nel suo messaggio agli intellettuali, come “cercatori della verità… esploratori dell’uomo, dell’universo e della storia… pellegrini in marcia verso la luce”», affermava ancora Franceschini, che aggiungeva: «Essere all’altezza dell’interlocutore, conoscerne l’indole e i bisogni, comprenderne e parlarne il linguaggio, è di necessità assoluta perché il dialogo possa essere vivo e fecondo».
Il rettore poneva due condizioni per “battere queste strade”: mantenere intatte, anzi potenziare, due esigenze che le sono connaturali fino dalle origini. «La prima è la serietà assoluta degli studi, venendo meno la quale l’Università tradirebbe ogni suo dovere: verso la scienza, che è ricerca pura della verità; verso la società, lesa nelle sue attese; verso i giovani, traditi nelle loro speranze; verso la Chiesa, alla quale nessun peggior servizio si può rendere di quello dell’impreparazione e della superficialità».
«Ma anche un’altra esigenza andrà rispettata, continuata, potenziata - proseguiva - . Un impegno che sembra a prima vista lontano e disdicevole alle finalità alte e pure della ricerca scientifica, ma che è invece, a mio modo di vedere, non solo uno dei fini essenziali dell’Università Cattolica, ma suo preciso dovere. Si tratta di mettere la propria scienza a servizio del popolo, in un’opera sapiente e paziente di divulgazione che entri capillarmente in ogni vena delle attività individuali e sociali del nostro Paese».
Due impegni che la facoltà di Lettere e filosofia con il convegno di studi fa propri anche oggi, cercando di offrire un contributo allo studio della diffusione e della ricezione del messaggio conciliare nella società contemporanea, del dialogo Chiesa/mondo sul versante del sapere critico e dell’espressività artistica, ma anche una riflessione e una messa a punto attuali del ruolo e della funzione delle discipline umanistiche nel vasto campo delle scienze e del sapere accademico.
Il discorso di inaugurazione dell'anno accademico 1965-66 pronunciato dal rettore Ezio Franceschini l'11 dicembre 1965 nell'aula magna dell'Università Cattolica in largo Gemelli a Milano è pubblicato nel volume "Storia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Le fonti. Volume I. I discorsi di inizio anno da Agostino Gemelli a Adriano Bausola", a cura di Alberto Cova, pagine 561-571, Vita e Pensiero, Milano, 2007