Hanno dimostrato con le loro ricerche che il welfare aziendale può rispondere alle difficoltà legate alla crisi e dare benefici sia ai lavoratori che all’azienda. E per questo sono stati premiati con due diversi riconoscimenti di cui parliamo qui a lato. Francesco Gelosa (nella foto con il sindaco di Milano Giuliano Pisapia) e Daniele Grandi hanno da poco concluso i loro studi in Università Cattolica con due tesi che gravitano nella sfera scientifica dell’Alta Scuola Impresa e società (Altis) .
Francesco, partendo dal solido legame che esiste fra welfare aziendale e Corporate Social Responsibility (Csr), si è concentrato su un ampio progetto sperimentale legato al Premio Famiglia-Lavoro promosso da Regione Lombardia proprio in collaborazione con Altis. Un riconoscimento che ogni anno premia le realtà che promuovono le migliori prassi di conciliazione famiglia-lavoro a favore di lavoratrici e lavoratori. Francesco ha svolto un’operazione di benchmark fra tre diverse tipologie di organizzazioni: imprese, organizzazioni no-profit e pubbliche amministrazioni. Il lavoro ha coinvolto 77 organizzazioni nel panorama italiano, europeo e/o in quello della Csr, e ha mostrato che i soggetti economici risultano prediligere in misura spiccata le attività di formazione, e, a seguire, quelle nei campi delle pari opportunità e della salute dei lavoratori.
Nell’ambito della conciliazione famiglia-lavoro, invece, ha rilevato una scarsa diffusione di agevolazioni e incentivi economici, a testimonianza di come le aziende si stiano avvicinando alle politiche di work-life balance senza mettere in campo investimenti consistenti. In questo settore le aziende pubbliche e private appaiono molto più attive rispetto a quelle del terzo settore per l’introduzione sia di politiche di flessibilità dell’orario di lavoro sia del telelavoro. Il settore pubblico, in particolare, gioca un ruolo rilevante nella dimensione dei servizi: rivolge grande attenzione alla promozione delle pari opportunità, tramite la pianificazione di programmi che facilitano il rientro sul posto di lavoro al termine dei periodi di congedo parentale. In molti altri ambiti, comunque, sono le imprese a risultare i soggetti con le migliori performance, come nel campo della remunerazione integrativa dei congedi, del supporto alla cura dei familiari dei lavoratori, dei servizi più innovativi di time-saving, mobility management e di offerta di sportelli medici interni.
Francesco conclude il suo lavoro rilevando che la prospettiva è quella di adottare un approccio employee-centered al welfare aziendale, comprendendo con cura i bisogni e le esigenze specifiche dei dipendenti, così da sviluppare attività mirate, che comportano investimenti limitati e garantiscono benefici certi. Le organizzazioni dispongono di ampi spazi di manovra e originalità, dato che possono ideare soluzioni innovative, cost-saving e vincenti a vantaggio del personale e della propria competitività.
Daniele Grandi ha scelto invece un taglio diverso, analizzando il ruolo delle relazioni industriali nello studio, nell’elaborazione e nell’implementazione dei pacchetti di welfare aziendali. Alla base della ricerca l’idea che, in un periodo di forte incertezza socio-economica del nostro Paese, questa soluzione possa giocare un ruolo non trascurabile sul piano della competitività delle imprese e dell’innovazione sociale e le relazioni industriali possano ricoprire un ruolo centrale in questo scenario. Daniele ha studiato sei casi aziendali: Trenord (trasporti), Ima (metalmeccanico), Solvay (chimico-farmaceutico), Mondelēz (alimentare), Fondazione Poliambulanza (sanità privata), Sisal (servizi-giochi). Il lavoro si è basato su documenti forniti dalle aziende partecipanti all’indagine e su 11 interviste non-strutturate a responsabili delle risorse umane ed esponenti della compagine sindacale. I piani di welfare aziendali che sono stati analizzati mostrano una certa prevalenza delle pratiche che vanno a interessare le aree tutela della salute, cura dei figli, sostegno alla spesa e tempo libero, conciliazione dei tempi.
L’analisi dei casi porta all’osservazione di diverse tipologie di “welfare aziendale”. La prima è quella definibile “culturale”, ovvero fortemente influenzata dalla storia dell’azienda dalla sua nascita fino ai giorni nostri. Una seconda tipologia è definibile “reattiva”, vale a dire la strutturazione di un piano di welfare aziendale in risposta a un’esigenza percepita dall’azienda che scaturisce da dinamiche sia interne sia esterne ad essa. Il terzo approccio potrebbe essere definito “proattivo”, cioè caratterizzato dall’utilizzo del welfare come leva a monte di una strategia perseguita dall’azienda. I tre approcci hanno in comune il fatto di andare ad agire su leve che possono essere fonte di vantaggio competitivo. Ma dimostrano anche che il welfare aziendale può essere sia una risposta a bisogni non soddisfatti dal sistema di welfare pubblico, sia uno strumento per favorire più o meno direttamente le performance aziendali.
Dall’analisi dei sei casi aziendali, al di là della sensibilità generalizzata circa il tema preso in esame, Daniele riscontra un’apertura piuttosto marcata verso quegli aspetti legati al welfare a cui il legislatore ha riservato un certo favore fiscale. Tale dinamica mostra come ci si stia spostando da un discorso sul welfare aziendale legato prevalentemente a un paternalismo imprenditoriale di origine ottocentesca verso un approccio più ponderato in ottica anche strategica e atto al miglioramento delle performance aziendali per ottenere benefici in termini di competitività.