C’è una categoria di professori che, per formazione e qualità, stenta a ripetersi: è a quest’ordine che appartiene Claudio Scarpati, dal 1975 docente di Letteratura italiana all’Università Cattolica di Milano, da poco congedatosi dall’insegnamento. Scarpati comincia a frequentare l’ateneo nel 1958, l’ultimo anno in cui il fondatore padre Gemelli è alla guida della Cattolica. Studia con Mario Apollonio, Antonio di Pietro e Giuseppe Billanovich. È uno dei padri di quel connubio tra poesia e pensiero e di quella spiccata coscienza storica che danno prestigio alla Cattolica, convinto da sempre che fare grande una facoltà significhi fare grande tutto l’ateneo.
Lo scorso 3 maggio, nella cripta dell’aula magna di largo Gemelli, in moltissimi hanno voluto dimostrargli gratitudine, complice anche la presentazione del volume Studi di letteratura italiana in onore di Claudio Scarpati, curato da Eraldo Bellini, Maria Teresa Girardi e Uberto Motta, edito da Vita e Pensiero, seguita da una lezione dello stesso Scarpati su Le rime spirituali di Michelangelo.
Il rettore Lorenzo Ornaghi ha introdotto l’ospite, ripercorrendo a brevi cenni la sua biografia: «Questo incontro - ha affermato - vuole essere un omaggio al magistero di un nostro studioso, che ha fatto della sobrietà e della refrattarietà le fonti indiscusse della propria autorevolezza». Luigi Pizzolato, preside della facoltà di Lettere e filosofia, impossibilitato a essere presente di persona per un impegno non rinviabile, ha mandato un messaggio: «Scarpati sa individuare come pochi, anche attraverso lo studio letterario, i nodi e gli snodi della cultura e della formazione, e prendere sul serio le questioni spirituali epocali. Sa rapportarsi agli allievi in forma sempre rispettosa e responsabilizzante, facendoli sentire adulti e attori di cultura, con attenzione alla loro piena dimensione umana», riconoscendo a lui e a padre Francesco Mattesini il merito della ripartenza della letteratura italiana in Cattolica.
È intervenuto anche Amedeo Quondam, presidente dell’Associazione degli italianisti italiani, inaspettatamente in sala, che ha ricordato l’essenzialità della figura di Scarpati nel momento di decollo dell’associazione. La parola è poi passata ai tre curatori del sostanzioso volume. In esso sono racchiusi 47 saggi che ripercorrono i quasi 8 secoli della letteratura italiana, sviscerandone forme e contenuti, nel tentativo di proporre una «storia culturale filosofica e comunicativa per edificare una coscienza di una comune civiltà europea, per contribuire a rendere l’università fertile terreno di libero e non pregiudicato confronto», come ha spiegato Eraldo Bellini. «Molti dei saggi della miscellanea sono di studenti, letterati e dottorati del professore, a testimonianza del grande impegno nei confronti dell’università e degli studenti», precisa Maria Teresa Girardi, sottolineando che proprio Scarpati «ha voluto che nel volume presentato vi fosse l’elenco di tutte le tesi da lui curate, per non dimenticare il suo essere, in primis e soprattutto, un insegnante».
Chiude l’introduzione Uberto Motta, che tratteggia il profilo dello studioso attraverso eloquenti parole chiave: chiarezza, sobrietà, interesse, fiducia, tempo, dedizione e umiltà: «La ricerca nel campo delle discipline umanistiche richiede pazienza. Tutto è vivo e mobile, non approda a facili e scontate risposte. È fondamentale tornare più volte a interrogare gli stessi autori: ogni nuova inchiesta sui testi classici ci fa scoprire qualcosa di nuovo sul nostro passato».
Subito dopo, l’intervento di Claudio Scarpati: «Più che “ultima lezione”, preferisco chiamarla “conversazione di ringraziamento”», esordisce. Una mezz’ora intensa e accorata per raccontare l’intrecciarsi di amore, arte e morte nell’ultima poesia michelangiolesca, conclusasi con uno scrosciante applauso della platea, attenta e rapita.
L'Intervista di "Avvenire" a Claudio Scarpati_1_05_2010 ( KB)