di Roberto Brambilla
Da Bologna a Salisburgo. È il percorso ideale che segna il processo di evoluzione dei dottorati di ricerca in Europa. Molto è cambiato nell’ultima decade nella fisionomia e nell’organizzazione dei PhD da quando, a partire dal 2005, sono stati annunciati in sede europea i Princìpi di Salisburgo, con l’intento di armonizzare – all’interno del più ampio Processo di Bologna – scopi, forme e strutture della formazione universitaria di terzo livello.
Diverse sono state le novità introdotte. Uno dei principali punti-cardine di questo processo, per esempio, è stata l’assunzione di responsabilità da parte degli atenei nel cercare di garantire ai programmi di dottorato, e agli early stage researchers in essi coinvolti, un reale collegamento con il mercato del lavoro, in senso più ampio di quello strettamente accademico. È ormai convinzione diffusa infatti che i dottorandi, nel loro percorso di preparazione alla carriera, possono offrire nei diversi settori professionali di riferimento un importante contributo alla creazione di nuova conoscenza.
L’avanzamento della conoscenza rimane – anche nella grande varietà di programmi a livello europeo – la componente centrale della formazione dottorale, insieme al miglioramento della qualità dei percorsi formativi, alla promozione di strutture innovative, all’incremento della mobilità geografica dei ricercatori e della collaborazione internazionale tra le università.
Dieci anni fa, tutto questo ha rappresentato una prima grande azione di riforma del terzo ciclo di studi, per consentire all’Europa di raggiungere l’ambizioso obiettivo di diventare la più competitiva economia basata sulla conoscenza e su un innalzato livello di capitale umano. Oggi siamo di fronte a un nuovo inizio.
Un primo (positivo) bilancio può essere già stilato sulla base dell’esperienza trascorsa. Sia in Europa, sia in Italia sono molte le realtà dottorali che, a partire dall’implementazione dei Princìpi di Salisburgo, possono a ragione essere indicate come vere e proprie best practice. Tant’è vero che, dopo soli tre anni dalla proclamazione dei Princìpi, sull’onda del processo di sviluppo avviato, molte tra le Università più virtuose hanno dato vita all’interno della European University Association (Eua) al Council for Doctoral Education (Cde), un’organizzazione pensata ad hoc per stimolare la valorizzazione della formazione dottorale e che oggi raccoglie oltre 200 atenei in 39 Paesi.
Nel 2009 l’Università Cattolica ha aderito all’Eua-Cde coinvolgendosi in un percorso di lavoro definito Verso Salisburgo II, un progetto finalizzato a un aggiornamento dei Principi e delle modalità con cui essi vengono tradotti nell’esperienza quotidiana delle scuole di dottorato. Questo percorso ha portato Eua nel 2010 alla formulazione di alcune Raccomandazioni, specificamente indirizzate agli Atenei, e riassunte in tre punti:
Il primo. La previsione di originalità del progetto di ricerca, come elemento-chiave del lavoro di dottorato (ovvero: qualità e innovazione).
Il secondo. Lo sviluppo di percorsi di formazione dottorale, sia specifica – curriculare – sia trasversale (attraverso l’introduzione delle transferable skill). La formazione dei dottorandi viene completata attraverso un’attenta azione di supervisione, volta a garantire la qualità della ricerca, e dal progredire dei processi di internazionalizzazione e mobilità.
Il terzo. La presa in carico da parte delle istituzioni (politiche, amministrative, formative) delle criticità esistenti a livello sistemico (finanziamenti, revisione dei quadri normativi, cooperazione tra le università nel mondo).
In Italia, a partire dalla primavera 2013, con l’entrata in vigore del DM 45/2013 sull’accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato (decreto attuativo della Legge Gelmini del 2010), l’Università Cattolica ha affrontato questi processi di cambiamento avviando un percorso di rinnovamento nella formazione dottorale e dotandosi di nuove strutture e assetti di governance basati sulle Scuole di dottorato e sul superamento del modello di PhD incentrato in maniera esclusiva sul rapporto uno-a-uno tra docente e dottorando.
Molto è stato fatto e molto rimane ancora da fare. Sono diversi i fronti sui quali occorre rivolgere l’attenzione nei prossimi anni. Una prima lista di questi punti è stata individuata dall’Eua-Cde in un nuovo documento di aprile 2016 dal titolo “Doctoral Education – Taking Salzburg Forward” che, tra le sfide più impellenti segnala quelle della digitalizzazione e delle opportunità che la rete ha reso disponibili in questi anni (big data, open science, open education, digital gates, Moocs); quelle dell’internazionalizzazione, intesa non solamente come mobilità geografica, ma soprattutto come collaborazione tra strutture e programmi, dialogo e condivisione della conoscenza, apertura ad altre culture; quelle legate ai possibili problemi etici nell’esercizio della ricerca, in particolare il tema della privacy nell’utilizzo dei dati e l’impiego della tecnologia in ambiti quali la genetica e la medicina.
Venerdì 16 settembre, in occasione della cerimonia di proclamazione dei dottori di ricerca dell’anno 2015, avremo l’opportunità di incontrare in Università Cattolica chi, negli ultimi anni, ha guidato con capacità e lungimiranza il Council for Doctoral Education e ha raccolto queste sfide, coinvolgendo gli atenei in tutta Europa in un appassionante lavoro di riflessione, sviluppo e implementazione delle migliori pratiche. Thomas E. Jorgensen, già responsabile di Eua Cde, terrà una lectio aperta dal titolo: The Future of the Research Profession, ponendo in primo piano il tema dell’employability e dei percorsi di carriera al di fuori dell’accademia. Un’occasione per mettersi in ascolto, riflettere e cercare (nuove) risposte a domande non più differibili.