Sono passati dieci anni da quel settembre 2008, quando il fallimento di Lehman Brothers, la quarta più grande banca d’investimento degli Stati Uniti, ha scosso l’intero mondo. Quel crack era stato anticipato dal crollo del mercato immobiliare d’oltreoceano, legato ai mutui sub-prime e all’eccessiva speculazione finanziaria. E oggi, tra le preoccupazioni degli economisti, s’insinua una domanda tutt’altro che retorica: la lezione è stata capita?
È proprio con questo spirito che Angelo Baglioni, docente di Economia politica all’Università Cattolica, ha scritto La rete bucata. Le regole e i controlli sulla finanza, un’analisi critica su quanto è stato realizzato in questi anni per rendere il sistema economico-finanziario più sicuro. Il volume, presentato lo scorso 23 gennaio in largo Gemelli con l’autore, descrive come i regolatori si siano impegnati in questo compito, producendo non solo migliaia di pagine di regolamentazione, ma anche creando nuove autorità di vigilanza. Eppure, i risultati non sono stati del tutto positivi: come sostiene l’autore, la nuova regolamentazione «è stata meno efficace di quanto avremmo voluto», pur essendo «estremamente dettagliata. In questa sofisticazione ci sono infatti dei buchi, che permettono di aggirare, piegare le norme».
Un esempio di “buco nella rete” è lo stipendio dei manager. «Qui nessuno ce l’ha con i livelli di retribuzione: non è questo il punto, o meglio il punto è la forma dei compensi, in cui c’è un rapporto tra parte variabile e parte fissa che premia risultati alti senza castigare risultati bassi». La nuova direttiva europea ha quindi imposto un limite alla variabilità, ma, afferma Baglioni, «fatta la regola si è introdotto il buco. A chi si impone tale limite? Si applica ai manager “rilevanti” per il profilo di rischio della banca. E chi decide la rilevanza? La banca stessa. Certo, lo fa secondo i criteri stabili nella direttiva, che però trovano eccezioni e che vengono elusi. Infatti, secondo un rapporto dell’Eba (l’Autorità bancaria europea), almeno il 15% dei soggetti con una retribuzione sopra il milione di euro all’anno - e quindi rilevanti per la banca - riesce a trovare il modo di non applicare la regola».
Oltre alle problematiche sulla trasparenza e correttezza nella comunicazione dei rischi, il volume tratta anche la questione della retroattività delle nuove norme europee sulla gestione delle crisi bancarie, che in Italia ha causato non poche difficoltà. Baglioni ha infatti sottolineato come le nostre banche «abbiano collocato in passato, alla clientela al dettaglio, titoli subordinati - quelli a maggior rischio per chi li detiene - in maniera molto più elevata rispetto alle altre banche europee». C’è stato quindi «un susseguirsi di tentativi dove si è cercato di non applicare la norma introdotta», che in caso di crisi «prevedeva il bail-in sugli strumenti già emessi in passato, già collocati alla clientela al dettaglio». Ecco perché, secondo Baglioni, «la credibilità delle regole ne ha risentito».
In ultimo, per quanto riguarda «la vigilanza unica, ossia il salto verso l’accentramento della vigilanza presso la Bce», l’autore del libro ha parlato di «un grosso passo avanti, una sorta di miracolo dal punto di vista organizzativo». Della stessa opinione sono Elena Carletti, docente di Finanza all’Università Bocconi, e Piero Boccassino, chief compliance officer di Intesa Sanpaolo, che hanno partecipato alla presentazione insieme a Carmine Di Noia, commissario della Consob, e Vittorio Conti, vicepresidente vicario dell’Assbb (l’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e Borsa). Per Baglioni ci sono però «problemi di comunicazione e trasparenza, come nel processo Srep» di revisione e di valutazione prudenziale, in cui l’autorità di vigilanza analizza le strategie messe in atto dalla banca e i rischi ai quali è esposta. In pratica, «le banche ricevono una letterina» con tutte le indicazioni «e poi possono comunicarlo al mercato o no, producendo discrepanze tra una banca e l’altra».
Per l’autore de La rete bucata «il sistema bancario è diventato più solido dal punto di vista del patrimonio e della liquidità, ma se uno guarda le fonti di rischio accumulate nel sistema stesso forse non sta così tranquillo», specie in relazione «all’efficacia di questa montagna di regole con cui ci hanno inondato».