«Non è nuova l’imprevedibilità degli eventi: come diceva George Orwell “per vedere cosa abbiamo di fronte al naso serve un impegno preciso e costante». Ha aperto così la propria prolusione il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, in occasione dell’inaugurazione dell’anno Accademico 2016/2017 dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nell’aula magna di largo Gemelli, dopo il discorso inaugurale del rettore Franco Anelli e il saluto del presidente dell’Istituto Toniolo cardinale Angelo Scola.
Il discorso di Gentiloni ha toccato i temi più caldi della politica internazionale: dalla Brexit alla crisi dei migranti, con riferimento anche all’elezione a sorpresa di Donald Trump come nuovo presidente americano.
L’ILLUSIONE DELL’OCCIDENTE. Al centro della sua prolusione, l’illusione tutta occidentale, per non dire statunitense, di un’età positiva, che vede gli Usa al suo vertice. Eppure Gentiloni ha ribadito come il colosso a stelle e strisce, almeno a partire dalla presidenza Obama, stia deponendo la corona della leadership internazionale, spostando l’asse verso l’Asia e il Medioriente: «In questo contesto bisogna individuare il ruolo che l’Europa deve assumere». L’intervento del ministro ha dato conferma di come si stia assistendo a un fenomeno di ipersovranismo, in cui uno Stato – o un governo – programma la relazione con gli altri attori nel quadro geopolitico, ponendosi come parametro dominante.
In merito ai risultati della campagna elettorale in America, il ministro ha sottolineato che la Trump-fobia sia un’esagerazione: «Oggi ci facciamo mille problemi per Donald Trump, ma il nuovo presidente americano non è il solo a vedere il mondo in un certo modo. Pensiamo ad esempio a Duterte, a Erdogan o a Putin».
TRUMP PARLA AI PERDENTI. Come è possibile che figure così autoritarie abbiano convinto l’elettorato? La risposta – a parere di Gentiloni – l’aveva già trovata Franklin Delano Roosevelt. Quello a cui parlava allora il presidente americano era il perdente della recessione del 1929; quello a cui si è rivolto Trump è il perdente della globalizzazione. Ma tra i poveri di ieri e quelli di oggi non ci sono grandi differenze: entrambi hanno deciso di appoggiare idee radicali solo per far sentire meglio la loro voce e il proprio disagio, con la conseguente elezione di personalità estranee al panorama politico.
«La direzione che oggi l’Europa deve seguire prevede due direttrici: da un lato la crescita economica, dall’altro la diminuzione della povertà. Un lavoro difficile, che nell’assetto geopolitico attuale è riuscito solo a metà. Si pensi al fatto che le nuove generazioni oggi siano frustrate, spaventate e poco fiduciose nei confronti del futuro». Basta vedere come questo sentimento si sta diffondendo in tutta l’Unione europea, proprio in un momento in cui, invece, sarebbe necessaria una risposta decisa e compatta ai problemi internazionali, come il fenomeno delle migrazioni. Fenomeno che, secondo il ministro, «può essere regolato con un lavoro coordinato tra gli stati del Nord Africa e l’Europa».
L’UNITÀ PARTE DALLA CULTURA. Finora non è stato possibile poiché si sta diffondendo un sentimento di sfiducia nei confronti dell’Europa, che spinge i governi ad allontanarsi dalla casa comune. Il tema su cui bisogna focalizzarsi, ha detto in conclusione Gentiloni – ricollegandosi al discorso del rettore, Franco Anelli – deve essere il rafforzamento dell’identità europea, che si può perseguire attraverso l’insegnamento del sapere culturale, di pari passo con le attività pratiche.
In chiusura del suo intervento, il ministro ha rivolto un pensiero all’Italia, che è tenuta in grandissima considerazione e stima, a livello internazionale: «Come italiani ci stiamo impegnando nell’acquisizione della consapevolezza del nostro ruolo sul profilo internazionale, sia nei meriti, sia nelle responsabilità».