di monsignor Erio Castellucci *
L’età giovanile in genere, e l’esperienza universitaria in particolare, è tempo opportuno per gli incontri decisivi della vita. Sappiamo che l’università nacque non come universitas studiorum, ma come universitas studentium. “Universitas” nel periodo medievale indicava un insieme di persone che si associavano, una corporazione. In una città c’erano dunque tante “universitates” quante corporazioni esistevano. Una di queste raccoglieva gli studenti, che si mettevano insieme, si davano regole per studiare il diritto, la medicina, le arti, la filosofia e la teologia; gli studenti stessi cercavano i maestri e guidavano la vita e il funzionamento di questa esperienza. Poi divenne anche “universitas studiorum” e le materie vennero sempre meglio organizzate. Ma all’inizio l’accento era sulle persone, sull’incontro, più che sulle materie.
L’anima dell’esperienza universitaria resta sempre la comunità degli studenti, il suo desiderio di approfondire e condividere. L’Università è dunque per sua natura incontro, intreccio di persone – studenti, docenti, operatori – e intreccio di conoscenze. L’Università è istituzione certo, ma prima di tutto è relazione: nasce come relazione, che poi è necessariamente diventa anche istituzione, e non come istituzione capace poi di custodire delle relazioni.
I giovani oggi sono poco sensibili all’istituzione e molto alla relazione; se entrano nell’istituzione è perché vi percepiscono una promessa di relazione. Le indagini sociologiche sui giovani italiani, e occidentali in genere, evidenziano un passaggio, negli ultimi decenni, che potremmo definire un “trasferimento di passioni”. Negli anni Settanta e fino agli anni Ottanta le passioni giovanili si incanalavano nelle grandi idee e ideologie, nelle cosiddette “grandi narrazioni”, che avevano come simbolo le piazze. Con molte battaglie e con quella deriva, minoritaria ma tragica, che fu il terrorismo.
Poi nel corso degli ultimi tre decenni le passioni giovanili si sono apparentemente affievolite; in realtà sembra che siano passate dalle piazze alle case; oggi si incanalano prevalentemente nelle relazioni dirette, nell’amicizia e nel volontariato; i giovani, come afferma il documento finale dell’ultimo Sinodo, «imparano volentieri dalle attività che svolgono, dagli incontri e dalle relazioni» (n. 77). Forse i giovani hanno perso un certo entusiasmo, certamente sono più disillusi di un tempo – del resto noi adulti stiamo consegnando loro un mondo dove gli orizzonti si sono abbassati di parecchio – ma non hanno affatto perso la passione, la capacità di progettare e fare sacrifici: la concentrano però su traguardi più immediati di un tempo. È diventato dunque essenziale, per le istituzioni, restituire il primato alle relazioni; importante per le strutture favorire gli incontri.
Concludo con un’immagine evocata da papa Francesco nel suo discorso agli universitari di Bologna, il primo ottobre 2017, quando chiese ai giovani di imitare Orfeo più che Ulisse, dicendo: «Ulisse, per non cedere al canto delle sirene, che ammaliavano i marinai e li facevano sfracellare contro gli scogli, si legò all’albero della nave e turò gli orecchi dei compagni di viaggio. Invece Orfeo, per contrastare il canto delle sirene, fece qualcos’altro: intonò una melodia più bella, che incantò le sirene». Mi sembra un’intuizione illuminante. Per Ulisse, si potrebbe dire, “l’inferno sono gli altri”: le sue relazioni con i compagni di viaggio e con le sirene sono improntate alla paura, alla difesa. Invece Orfeo gareggia nella bellezza con le sirene e vince, perché la sua melodia è più affascinante. I giovani hanno le risorse per imitare Orfeo. Testimoniare la bellezza dell’incontro con Dio ai giovani e insieme ai giovani significa assumere uno stile che promuova più che condannare, che incoraggi più che polemizzare. Significa gettare meno lacci per difendersi dalle sirene e comporre più melodie per incantarle: Gesù, come scrive San Paolo, è il grande “sì” di Dio (cf. 2 Cor 1,20); è necessario saper pronunciare anche dei “no”, ma solo quelli che servono per custodire il grande “sì”. L’esperienza cristiana può ancora interessare i giovani quando, sulle regole e sulle idee, risplende il primato dell’incontro con Cristo vivo.
* Vescovo di Modena-Nonantola, presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi della Cei. Quello pubblicato è uno stralcio della prolusione che il presule ha pronunciato per l’inaugurazione dei corsi di Teologia. Ecco il testo integrale