di Paolo Cognetti *
Esistono gli eremiti oggi, e qual è il senso della loro condizione? Un ragazzo nato e cresciuto in città potrebbe chiedersi che cosa si trovi, nel silenzio e nella solitudine, e se ne valga la pena. Provo a rispondere con le parole di altri due scrittori che mi stanno a cuore. Sylvain Tesson, viaggiatore francese, autore di un testo bellissimo sull’eremitaggio (Nelle foreste siberiane, 2011, diario di sei mesi passati sulle rive del lago Bajkal), scrive che si è sempre in buona compagnia quando si portano dei libri con sé.
Il nostro più grande scrittore di montagna, Mario Rigoni Stern, diceva invece che non si è mai soli in un bosco. Nella mia esperienza personale ho scoperto quanto siano vere queste due idee, e come si completino a vicenda: la prima riguarda lo spazio interno alla casa e l’intimo dialogo che un lettore instaura con gli autori che ama, le cui voci di fantasmi vengono a fargli visita dal passato; la seconda suggerisce l’esistenza di altre voci, queste vive, presenti, reali, e una relazione da costruire con quel che c’è oltre la finestra, intorno alla casa. Il bosco, gli animali, gli alberi, l’acqua, il vento, il buio, la pioggia, la neve.
L’eremitaggio non è una clausura e non si potrebbe fare rintanandosi in una cella. È anzi una ricerca e un’apertura, un avventurarsi fuori dai territori conosciuti, un affinare la vista e l’udito per vedere e sentire meglio, o imparare daccapo a farlo perché la città ci rende sordi e ciechi. L’eremita è un esploratore. Per quanto mi riguarda, la scrittura è allo stesso tempo il mezzo e il fine di quest’esplorazione: è il mio modo di pensare, quando sono da solo, e insieme la traccia che ne rimane, o il regalo che la solitudine mi fa quando decide di essere generosa con me.
* È autore di alcuni documentari - Vietato scappare, Isbam, Box, La notte del leone, Rumore di fondo - che raccontano il rapporto tra i ragazzi, il territorio e la memoria. Per minimum fax media ha realizzato la serie Scrivere/New York, nove puntate su altrettanti scrittori newyorkesi, da cui è tratto il documentario Il lato sbagliato del ponte, viaggio tra gli scrittori di Brooklyn. È autore di romanzi (Sofia si veste sempre di nero, 2013), di due libri su New York: New York è una finestra senza tende (2010) e Tutte le mie preghiere guardano verso ovest (2014). Oltre alla scrittura, ama la montagna dove trascorre alcuni mesi all’anno: da questa esperienza è nato il diario Ragazzo selvatico (2013).
La lettura dell’articolo completo è disponibile sul sito della rivista dell’Università Cattolica “Vita e Pensiero”.