L’Università Cattolica - Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma tra i 47 centri di ricerca europei che partecipano al progetto coordinato dall’Università di Newcastle. Si punta a test (come quello del sangue) per eliminare la necessità di biopsia epatica. È un progetto pionieristico quello che vedrà protagonisti gli scienziati dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma. L’obiettivo è sviluppare nuovi test diagnostici non invasivi per valutare i pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD, il fegato grasso) e identificare quelli più a rischio di sviluppare grave danno del fegato legato a infiammazione e fibrosi (ovvero un accumulo di cicatrici nel fegato che conduce alla cirrosi e può favorire il cancro).
Il progetto, intitolato Liver Investigation: Testing Marker Utility in Steatohepatitis (Litmus), finanziato nell’ambito della European Innovative Medicines Initiative 2, riunisce medici e scienziati di 47 importanti centri accademici in tutta Europa e aziende della Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche (EFPIA).
Litmus, che durerà 5 anni e ha ottenuto un finanziamento di 34 milioni di euro, punta quindi a superare la biopsia (un esame invasivo) per diagnosticare l’evoluzione patologica del fegato grasso.
«L’Università Cattolica e il Policlinico A. Gemelli è partner del progetto coordinato dalla Università di Newcastle (Prof. Q. Anstee)» spiega il dottor Luca Miele dell’Area Gastroenterologia - Polo Scienze Gastroenterologiche ed Endocrino-Metaboliche del Policlinico».
Fino a qualche anno fa il fegato grasso era considerato una condizione benigna e sinonimo di benessere, mentre oggi i medici sanno che può evolvere (nel 2-3% dei casi) verso malattie più importanti come la fibrosi o precedere l’insorgenza del tumore del fegato. I fattori di rischio per il peggioramento della salute del fegato, in assenza di danno da alcol o da virus o da autoimmunità, sono la iperalimentazione, l’eccesso di fruttosio industriale, la vita sedentaria, il diabete, il sovrappeso/obesità e alcuni fattori genetici.
«L’alta prevalenza del fegato grasso nella popolazione generale (20-30% delle persone ha fegato grasso) e la stretta associazione con il diabete e con l’obesità (il 70% degli obesi, oltre l’80% dei diabetici hanno il fegato grasso) fanno sì che la steatosi epatica rappresenti attualmente la prima causa di malattia cronica del fegato, con conseguente incremento dei costi in sanità pubblica» sottolinea il professor Antonio Gasbarrini, docente di Gastroenterologia alla Cattolica e direttore dell’Area Gastroenterologica della Fondazione Policlinico Gemelli.
«Nei prossimi anni il fegato grasso diventerà la principale indicazione al trapianto di fegato, fenomeno che stiamo già osservando negli Stati Uniti» afferma il professor Antonio Grieco, responsabile della Unità di Medicina del Trapianto di fegato del Gemelli.
«Anche in Italia stiamo osservando un importante incremento dei casi di tumore del fegato in assenza di malattie virali o dei noti fattori di rischio in soggetti che hanno un fegato grasso”, aggiunge il professor Gianludovico Rapaccini, direttore della Unità di Medicina Interna e Gastroenterologia del Gemelli.