Un gruppo di studenti del corso di Pedagogia Interculturale tenuto dalla prof.ssa Monica Amadini, giovedì 5 maggio, ha avuto l'opportunità di incontrare quattro ragazzi africani che hanno vissuto l'esperienza migratoria e che ora si trovano in Italia come richiedenti asilo.
L'incontro è stato caratterizzato dalla testimonianza di Abdoul, un giovane ventottenne senegalese che ha raccontato la sua tormentata esperienza; partito dal Senegal in cerca di lavoro, ha attraversato Mali e Niger per poi giungere in Libia. Da qui, è seguita la lunga e dura traversata sul “barcone” destinato alla penisola italiana.
Attraverso le parole di Abdoul, gli studenti hanno potuto osservare l'esperienza migratoria da un punto di vista diverso: non quello di chi accoglie, bensì dalla prospettiva di chi migra. La visione globale del fenomeno migratorio è infatti condizione essenziale alla formazione di un giudizio critico. Nell'immaginario comune italiano - legato soprattutto e spesso quasi unicamente alla prospettiva di chi accoglie – è presente e fortemente impressa l'idea che queste persone migrino verso l'Europa alla ricerca di una vita migliore. Non sempre è così: in molti casi, come in quello di Abdoul, non hanno idea né di cosa sia l'Italia né di dove si trovi.
Il motivo che spinge molte persone a migrare dal loro Paese di origine è la prospettiva di un lavoro in Libia perché essa - come ha raccontato il ragazzo - è vista come il punto di arrivo per l'ottenimento di un impiego e quindi per l'avvio di una diversa e migliore fase della loro vita.
In questa fase i migranti si scontrano con un’altra realtà dei fatti: la maggiore offerta di lavoro in Libia è reale, ma la situazione politica e sociale in cui si trova il Paese non permette alle persone di costruirsi una vita migliore e libera. In Libia l'atteggiamento nei confronti dello straniero in cerca di lavoro è di prevaricazione e dominio: essi vengono spesso imprigionati senza alcuna legittima motivazione e la loro libertà viene vincolata al pagamento di un riscatto. Anche quando quest’ultima condizione si verifica, la libertà concessa diviene strumento di ricatto e sfruttamento che si tramuta in obbligo di lavoro senza compenso presso colui che ha pagato il riscatto.
Questa condizione, che ricorda molto la schiavitù, può essere interrotta solo dal viaggio obbligato verso l'Europa, perché il ritorno verso gli altri Stati Africani di origine è reso impossibile.
La traversata verso il nostro continente, come ben sappiamo, avviene in condizioni disumane, inoltre, dopo un simile racconto, appare evidente come l’esistenza del fenomeno migratorio non sia da imputare solamente alla ricerca di una vita migliore in Europa.
Perché in un'epoca dall'informazione così diffusa e penetrante un cittadino comune non conosce informazioni così importanti ed essenziali per una comprensione globale del fenomeno migratorio? Perché i mass-media non raccontano della situazione critica in Libia, ad esempio? Aprirsi verso l'altro è molto più difficile se non si conosce la sua storia.
“Attraverso la sua testimonianza, Abdoul ci ha mostrato la realtà da un altro punto di vista e ci ha fatto riflettere sull'importanza dell'istruzione – raccontano gli studenti Jennifer Leali, Ilaria Miglioli, Beatrice Reghenzi e Francesco Rizzi - Per noi è scontato crescere in un sistema che mira alla nostra formazione, culturale e personale; per molti altri, come lui e tanti altri ragazzi africani e non solo, non lo è. Ricordarsi ogni tanto della fortuna che abbiamo ci aiuta a ridare valore e ad apprezzare con rinnovato spirito il nostro vissuto quotidiano. Prima di questo incontro trattavamo la questione dell'immigrazione con superficialità, ma le parole di questo ragazzo ci hanno portato a riflettere e a porci delle domande e, anche se non tutte hanno ancora trovato risposta, il suo racconto ci ha permesso d’iniziare ad aprire gli occhi sul problema e ad acquisire una consapevolezza maggiore. Informiamoci e incontriamoci: solo una molteplicità di prospettive può aprirci verso noi stessi e verso l'altro”.