L’esasperazione fortissima di una popolazione sotto sanzioni da anni. C’è questo al fondo della rivolta in corso in questi giorni in Iran, di cui non si sa molto per la fortissima censura e per la chiusura dei social media. Ma, come spiega il professor Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica alla facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, c’è anche un dato contingente e immediato che ha fatto esplodere la protesta: «Il razionamento della benzina è uno dei temi chiave in Iran, perché di fatto viene regalata (15 centesimi al litro). Tutti si muovono in automobile e molti fanno i taxisti part-time per arrotondare. Aumentare il prezzo della benzina ha un impatto devastante».
La popolazione è messa a dura prova. «Si era illusa con l’accordo sul nucleare tra Obama e Rohani nella fine delle sanzioni americane, invece si è trovata nel giro di un paio d’anni con sanzioni molto più dure che impoveriscono milioni di iraniani. La Repubblica islamica ha vinto a livello strategico, ha battuto i suoi nemici regionali, è dominante ma a che prezzo? Il successo geopolitico viene pagato dalla popolazione perché il regime non ha le risorse per resistere a queste pressioni».
Si può fare un parallelismo con la rivolta dei giovani del 2009? «Siamo ossessionati dal fare paralleli perché ci viene comodo. Allora la protesta era politica perché era stato scippato un voto che aveva impedito ai riformisti di andare al potere. La rivolta era non violenta, anche se era stata repressa violentemente. Là i protagonisti erano giovani universitari della borghesia di Teheran. Qui è l’esasperazione, e infatti viene repressa con molta più brutalità e ferocia dai pasdaran: non è una protesta legata a un’agenda politica. È la rabbia contro un sistema corrotto, non liberale e inefficiente. E infatti chi partecipa alla rivolta è gente molto diversa».
Quindi non c’è un segmento particolare a guidarla? Sono soprattutto i ceti medio-bassi che esprimono esasperazione. Il ceto medio iraniano si è impoverito tantissimo. È uno scoppio di rabbia incontrollata che non ha un progetto politico e che il regime ha deciso di trattare con brutalità».
Inutile dunque fare parallelismi con le piazze in fiamme in molti Paesi del mondo? «C’è un effetto mimetico perché succedono nello stesso momento, ma mettere insieme realtà così diverse è un’operazione spericolata».
Qual è lo specifico iraniano? «Qua siamo di fronte a uno scoppio di violenze fortissime perché la benzina è il tema più sensibile. Forse solo vietare il calcio sarebbe peggio, perché loro sono ossessionati. È come toccare il pane nei Paesi del nord Africa. Il regime spende cifre colossali per “regalare” la benzina agli iraniani ma non se lo può più permettere. Il governo non sa più come gestire l’economia, che va malissimo perché i pasdaran stanno spendendo cifre colossali nel programma nucleare e nelle avventure regionali. E l’Iran non ce la fa più. Non per niente le sanzioni della Destra americana vanno a colpire proprio lì».
Quali sono gli equilibri interni al potere oggi? «Rohani aveva investito sull’accordo nucleare: avendo perso la scommessa è debolissimo, come debole è il governo. I pasdaran invece sono sempre più forti e difficili da controllare e rispetto al regime clericale hanno una durezza e una brutalità fortissime. Quello che era l’uomo forte, Khamenei, è invecchiato e indebolito, dopo aver appoggiato Rohani, e non controlla più i pasdaran che sono ormai una sorta di Stato nello Stato: troppo violenti, troppo aggressivi».
Esiste una via d’uscita a questa situazione? «Per il momento non c’è. Una via d’uscita pacifica richiederebbe che la Repubblica islamica rinunci al proprio ruolo geopolitico ma sarebbe una resa di fronte ai suoi nemici, probabilmente fatale. E adesso che tanti nemici sentono l’odore del sangue, non accetterebbero niente di meno che una resa umiliante e il regime non sopravvivrebbe. Io temo invece la scelta di reprimere ogni dissenso con brutalità, che vuol far venir meno agli iraniani l’idea che si possa manifestare. Il regime si sta arroccando in modo molto pericoloso. Difficile che ci sia un tracollo».
E in futuro? «Quando morirà Khamenei, che è l’unico che può ancora porre un freno ai pasdaran, il rischio è che ci sia una trasformazione dell’Iran da Repubblica teocratica a un sistema dominato dai para-militari, che sono molto più brutali dei religiosi».