Cosa significa comunicare oggi? Quando è opportuno farlo? Ed è sempre un atto positivo?
Sono solo alcune delle questioni sollevate dal filosofo della comunicazione Silvano Petrosino, in dialogo col direttore editoriale dell’Editoriale bresciana Giacomo Scanzi, intervenuto nell’ambito dell’incontro Comunicare è molesto? promosso dalla Falcolà di Lettere e filosofia.
Secondo Scanzi “L’atto comunicativo in sé non è mai né molesto né utile, è l’uomo ad assumere entrambi gli atteggiamenti. Oggi ci troviamo al centro di una grande trasformazione antropologica: l’ansia di comunicare a tutti i costi ci ha fatto perdere di vista una delle caratteristiche fondamentali della comunicazione, ovvero che ad avere importanza dev’essere il contenuto. L’avere a portata di mano 24 ore su 24 i mezzi di comunicazione ci fa distogliere l’attenzione dai contenuti veicolati".
Petrosino, dal canto suo, ha sollevato la questione circa la distinzione fondamentale tra il concetto di comunicazione e il semplice scambio d’informazioni. “Oggi ci troviamo a vivere in una società non della comunicazione, bensì basata sullo scambio d’informazioni e questo, se abusato, può risultare molesto. Viviamo con la continua mania dell’inviare e ricevere messaggi e chiamate. La comunicazione, quella vera, non è mai molesta, tutt’altro: è qualcosa di drammatico e impegnativo poiché implica il processo di ascolto, il tentativo di capire cosa sta dicendo l’altro e l’elaborazione di una cosa difficilissima come la risposta”.
Cosa fare dunque, quali accortezze adottare in un’era dominata da internet, delle tecnologie smart e, soprattutto dell’(ab)uso dilagante, massiccio e reiterato dei social network?
“Occorre certamente moderarsi – ha sostenuto Petrosino – poiché la continua esigenza di tenersi in contatto e collegati, è sintomo di un malessere e di un infantilismo generale, risponde a un bisogno che spesso ha a che fare col patologico: vogliamo avere sempre tutti attorno a noi e auspichiamo alla risposta immediata, propri come i bambini con la mamma. Senza generalizzare, penso che oggi molti di noi siano vittime di questo…i giovani lo sono in particolar modo. Cosa c’è dietro a questo bisogno incontrollabile? Spesso un’identità debole che ha bisogno di continue risposte e conferme da parte dell’altro”.