L’Italia è un Paese con 60 milioni di Ct. E, quando si discute di calcio, ognuno si sente in dovere di esprimere la propria opinione: l’importanza del campione, l’episodio che ha deciso l’esito della partita, le prestazioni di un giocatore. Se le riflessioni dei tifosi sono tutte rapportate al gioco, alla tattica e alle prestazioni delle squadre e dei calciatori, ci sono aspetti economici, urbanistici, sociologici e storici che rendono insostituibile, oltre che totalizzante, nella nostra cultura il calcio, come dimostra l’ambiziosa ricerca “Umanità nel pallone”, presentata in Cattolica lo scorso 14 novembre.
Promosso dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), e in particolare dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm) e dall’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) con la collaborazione dell’Ateneo, il progetto coordinato da Maurizio Lupo indaga il calcio dal punto di vista linguistico, architettonico, degli usi e costumi, e culminerà con la pubblicazione di un testo scritto a più mani.
Il calcio, infatti, rappresenta un mondo talmente vasto che va ben oltre il semplice campo di gioco. Per Pierluigi Allotti, docente dell’università La Sapienza di Roma, lo stadio non è più vincolato alla sola fruizione di uno spettacolo, ma è concepito come occasione di aggregazione, un momento per trasmettere cultura: da mero edificio diventa una sede dove il tifoso va fidelizzato.
Grazia Biorci, ricercatrice di Ircres, si è invece occupata del comportamento dei supporter durante la partita, con risvolti linguistici interessanti: nella sua ricerca emerge che striscioni, cori e coreografie sono soprattutto «un dialogo tra le tifoserie, perché ci sono rimandi a fatti avvenuti in precedenza tra le due fazioni». Allo stadio «funziona un linguaggio particolare, che ha regole precise, allusioni ed evocazioni: la maggior parte degli slogan ha carattere bellico, epico, mentre altri sono in rima o assonanza». Per Biorci, il tifoso partecipa attivamente alla partita fino a diventare “spett-attore”, ossia un attore senza il quale un match perde quasi il suo senso.
Concetta Damiani, dell’archivio di Stato di Salerno, fornisce precise piste di ricerca e fonti da consultare per una eventuale tesi di laurea su temi calcistici. Oltre ai musei gestiti direttamente dalle società, le carte della questura e gli articoli giornalistici, la relatrice ha spronato gli studenti a consultare il ricco archivio del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) e le gallerie fotografiche presenti sul web, ricordando però che la memoria collettiva di un evento sportivo appartiene soprattutto a giocatori e dirigenti che hanno vissuto in prima persona quel momento.
Per Filippo Galli, già difensore del Milan e ora allenatore, «il calcio non è per forza educativo: assume un valore positivo se fatto bene». Secondo Galli «va messo al centro non solo l’allievo, ma anche tutte le persone coinvolte nel processo di formazione», come psicologi, pedagogisti, preparatori atletici, nutrizionisti e famiglie. Questo sport, infatti, rappresenta «un fenomeno trasversale», che coinvolge più categorie di persone: creare reti positive è fondamentale, per insegnare e a propria volta imparare. «Ecco perché il Milan ha offerto l’alternanza scuola-lavoro nelle sue sedi, instaurando anche legami con enti pubblici e privati come l’università Cattolica, aprendo le porte a tirocinanti e iscritti ai master in Scienze motorie. È un rapporto bidirezionale».
E proprio l’Ateneo - come ricorda Francesco Casolo, coordinatore del corso di laurea in Scienze motorie e dello sport - continua a coltivare l’importanza del mondo calcistico con master dedicati (Teoria e metodologia della preparazione atletica nel calcio e Comunicare lo sport), impegnandosi a dare sempre voce «ad altri aspetti di questo gioco, oltre a quello della prestazione».