Fare teatro è un’assurdità: una dichiarazione forte e provocatoria, quasi paradossale se pronunciata da un attore di successo come Franco Branciaroli, consulente artistico del CTB – Teatro Stabile di Brescia, ospite del terzo appuntamento di Letteratura&Letterature lo scorso giovedì 8 novembre presso l’Università Cattolica. Con la sua grande esperienza che proviene da una splendida carriera teatrale, il noto attore ha spiegato il senso profondo di questa forte affermazione di Thomas Bernhard (1931-1989), romanziere e drammaturgo austriaco, autore de Il teatrante (Der Theatermacher, 1984), in scena dal 6 al 18 novembre presso il Teatro Sociale.
Proseguendo nella sua riflessione sul mondo del teatro e sul suo rapporto con la società attraverso la memoria che ne è l’elemento fondamentale – dapprima con Don Chisciotte e lo scorso anno con Servo di scena di Ronald Harwood –, Franco Branciaroli ha scelto di interpretare e di curare la regia di un testo raramente rappresentato in Italia che tematizza l’impossibilità di esistere, derivante dalla schiavitù dell’uomo alla vita, che solo nel suicidio – mai compiuto – può risolversi. Diversamente da Beckett, la cui opera è impregnata di inesorabile pessimismo, Bernhard contraddice la presunta drammaticità dei suoi testi caustici e grotteschi con una vitalità letteraria che da un lato si apre ad un grande afflato umano e dall’altro non manca di criticare aspramente l’Austria, senza però ricorrere alle forme di denuncia sociale tipiche del teatro brechtiano, muovendo invece una critica più umana che politica, ancora in grado di interessare, affascinare e far persino ridere.
In un oscuro teatro di provincia, Bruscon, un attore di origine bergamasca, figlio della terra che diede i natali ad Arlecchino e alla Commedia dell’Arte, è alle prese con uno spettacolo impossibile, stretto tra la propria ambizione - che gli fa scrivere testi deliranti e respingenti – e la necessità della compagnia, composta dalla sua stessa famiglia, più impegnata a sbarcare il lunario che a dare dignità al proprio lavoro, che per certi versi sembra riprendere e rileggere i Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Tra invettive e paradossi sulla vita e sulla morte, sulla società e sulla felicità, il vecchio attore vede ancora una volta frustrato il tentativo di portare in scena La ruota della storia, testo pretenzioso e non compreso da nessuno, che racchiude in un’unica commedia tutte le “commedie” della storia umana e che ha come caratteri principali figure di grandi condottieri e tiranni, presentando così i rapporti interpersonali come mere relazioni di potere. Servendosi di una lingua dal registro lessicale basso, ma altrettanto complicata nei suoi giochi sintattici, Bernhard mostra quanto il teatro sia finzione, falsità, ipocrisia – persino misoginia e ipocondria – negando la possibilità di un’esistenza sensata, lasciando però aperto in extremis uno spiraglio di speranza, al quale ogni uomo che recita la propria parte sul palco della vita possa fare appello pur nell’apparente insensatezza del vivere quotidiano.
In opere intrise di citazioni intertestuali, rimandi autobiografici e allusioni alla storia austriaca, spesso non immediatamente individuabili dal pubblico italiano a motivo della loro specificità culturale, l’autore pone al centro della sua produzione letteraria la disperata lotta dell’uomo contro il processo di decomposizione che tutto inghiotte; fin dal primo romanzo, Gelo (Frost, 1963), parlare diventa per i suoi personaggi un’ossessione, sintomo del più assoluto solipsismo e del fallimento del loro tentativo di afferrare la realtà. “Precoce intenditor di insidie” con “un certo talento teatrale sin da bambino”, Thomas Bernhard è un teatrante a tutto tondo, uomo che fa, vive e si identifica nel teatro, inteso come un’amletica “trappola per l’arte”, nella quale l’artista resta incastrato proprio nel momento in cui si ostina a ragione sulla propria parte in scena, sul proprio ruolo nella vita.