Si dice spesso che è solo nei momenti di prova, particolarmente di malattia, che le persone ritrovano se stesse e le proprie motivazioni profonde: è quello che succede a Mila, una donna alla soglia dei quarant’anni che conduce un’esistenza normale e che solo venendo a contatto con la vita di un ospedale e in un particolare e significativo incontro, capirà tutto e più a fondo di sé. È questo il filo del racconto di Daria Bignardi (a sinistra nella foto), “La Santa degli impossibili”, presentato lo scorso 22 maggio, giorno della memoria di Santa Rita da Cascia, nella hall del Policlinico Gemelli, in uno degli incontri del ciclo “Il cielo nelle stanze”, moderato da Maria Grazia Capulli (a destra nella foto), giornalista del Tg2 Rai.
«Mila è una donna molto interessante – ha detto nelle parole di introduzione la moderatrice –: una donna un po’ misteriosa che somiglia a tutte le donne che vogliono raccontare e soprattutto vivere i loro sogni».
«È una donna – ha esordito Daria Bignardi – convinta di essere immune a tutto. L’incontro della sua vita avviene proprio in un ospedale dove una persona la mette in contatto con la figura di Santa Rita da Cascia, una grande santa, capace di fare miracoli. Una delle pochissime “sante sposate” che, fin da piccola, vuole farsi suora e che però è costretta a sposarsi. Suo marito viene ucciso e lei prega Dio che i figli non si vendichino della morte del padre: Dio li prende con sé e da quel momento inizia per Rita una nuova vita che la rende più libera e consapevole fino a entrare in convento».
Come Santa Rita nella sua giovinezza, Mila ha perso il filo del suo destino e forse si sta ammalando fisicamente anche perché ha lasciato indietro qualcosa di molto importante: «Mila ha trascurato il suo “demone” – spiega Bignardi – ciò per cui siamo nati, ciò che ci fa vivere, che ci dà forza, che ci fa davvero essere quello che siamo».
Il libro scorre fra i diversi punti di vista dei protagonisti: quello di Mila, quello di suo marito, presente e attento, ma distante dal dolore e dall’inquietudine della moglie che non capisce; quello di Maddi, la figlia, accanto ai loro due gemelli. Mila, che non ha amici e che vive la vita di famiglia in maniera costante e normale, è molto vicina ai fragili della società: ai detenuti, ai deboli, coltiva una grande vicinanza con gli estranei: «Questa sua vita – ha confidato la Bignardi – è molto vicina a quella solidale e bellissima che vivo da vent’anni a Milano, una città dove famiglie, associazioni e istituzioni si aiutano e collaborano. Una città molto accogliente».
Un romanzo, quello di Daria Bignardi, che porta in alto il valore dell’empatia, verso gli altri e verso se stessi. E anche il valore della forma letteraria, come purificazione e condivisione: «Si scrive per condividere – ha concluso l’autrice – anche se si toglie tempo e vita a qualcos’altro. Scrivere significa passare molto tempo da soli, bisogna avere una forte urgenza, un forte bisogno per farlo. È un grande piacere, ma molto faticoso. Questo libro è stato per me un grande piacere: condivido una grande storia femminile, sull’amore, sulla consapevolezza, sulla strada da prendere. Un libro per tutti noi».