Intellettuale complesso, Friedrich Dürrenmatt (Konolfingen 1921 - Neuchâtel 1990) è stato un brillante commediografo, un grande romanziere e un appassionato artista, costantemente alla ricerca di forme espressive attraverso le quali veicolare i suoi pensieri. A lui è stato dedicato l’incontro del 23 novembre del ciclo Giustizia e letteratura promosso dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp).
A chi gli chiedeva cosa lo spingesse a cimentarsi con arti diverse dalla scrittura, Dürrenmatt rispondeva «Non sono un pittore. Tecnicamente dipingo come un bambino. Dipingo per la stessa ragione per cui scrivo: perché penso. La pittura intesa come arte di fare dei “bei quadri” non mi interessa, così come non mi interessa l'arte di fare del bel teatro». I temi da lui trattati sono molteplici: il rifiuto della responsabilità, il decadimento della politica, la tensione tra legge e libertà, la corruttibilità delle istituzioni, e, ancora, riflessioni filosofiche e di attualità politica.
Ma uno dei temi maggiormente cari allo scrittore svizzero è l’indagine sul concetto di giustizia. Dürrenmatt ha cercato costantemente di coglierne l’essenza: ne ha evidenziato il carattere necessariamente relativo, soprattutto quando è in gioco la giustizia dei Tribunali, ove si ricerca una verità processuale, spesso non coincidente con quella reale. È evidente però che una giustizia relativa non può essere sempre e necessariamente “giusta”: ecco, allora, che nelle opere di Dürrenmatt spesso è difficile tracciare la linea di demarcazione fra vittima e carnefice. I personaggi di Dürrenmatt, costruiti con un continuo ricorso al paradosso, sembrano spesso scettici dinanzi alla possibilità di arrivare alla giustizia attraverso i sentieri della legge; le loro storie disegnano un mondo grandemente influenzato dal caso, nel quale la realtà è difficilmente scomponibile secondo logiche razionali: per rendere giustizia si deve allora ricorrere all’irrazionale, se non addirittura a comportamenti che sembrerebbero la negazione della giustizia stessa. L’assenza di certezze implica, poi, il proliferare del dubbio, che viene a essere una sorta di immancabile compagno di viaggio lungo il percorso dell’accertamento delle responsabilità.
Queste riflessioni sono state il filo conduttore dell’incontro, introdotto dal preside della facoltà di Giurisprudenza e direttore del Csgp, Gabrio Forti, a cui hanno preso parte Roberto Cazzola, scrittore e responsabile della germanistica della casa editrice Adelphi, Eugenio Bernardi, già docente di Lingua e Letteratura tedesca presso l’Università di Venezia Ca’ Foscari, curatore e traduttore di numerose opere di Dürrenmatt, e Gherardo Colombo, già magistrato e attualmente presidente della casa editrice Garzanti Libri. Cazzola e Bernardi hanno magistralmente ricostruito la figura di Dürrenmatt, evidenziando i tratti salienti della sua opera, con grande attenzione a focalizzare la rappresentazione, spesso dissacrante, della giustizia. Gherardo Colombo ha calato tali riflessioni nel vivo dell’amministrazione della giustizia in Italia e ha dunque stimolato il pubblico con immagini tratte dalla sua esperienza di “uomo di legge”, animando un vivace dibattito sui caratteri che la giustizia deve avere per potersi dire davvero “giusta”.