Doveva essere la presentazione de “Il tempo che vorrei”, l’ultimo libro di Fabio Volo, di fatto è stato uno show teatrale quello che è andato in scena, lo scorso 29 novembre, nella sala polifunzionale della Cattolica, su invito della Libreria di via Trieste 17. Il trentasettenne attore-presentatore ha calamitato l’attenzione del pubblico in un susseguirsi di battute e sketch esilaranti, lasciando quasi in ombra i contenuti del libro, in parte autobiografico. L’argomento centrale è il rapporto padre-figlio in relazione al tempo che scorre. Narra di una generazione di genitori, nati nel dopoguerra, troppo occupati nel lavoro e nel procurare ciò di cui la famiglia aveva bisogno, trascurando di conseguenza i rapporti umani. Agli occhi del protagonista, il padre è colpevole di troppe mancanze e manifesta l’affetto non con le dolci parole, ma con i ruvidi gesti. «Proprio come fra me e mio padre – racconta - . Anche se sono andato via di casa a 21 anni, lui non ha mai manifestato di volermi bene in modo plateale e fisico come invece fa mamma, che mi fa commuovere per ogni suo piccolo gesto, come può essere un sms tenero». Insieme alla pensione arriva il tempo che i due protagonisti non hanno mai avuto a disposizione, il “tempo che avrebbero voluto” da dedicarsi l’uno all’altro cercando, in modo goffo poiché non abituati a farlo, di recuperare un rapporto intorpidito e soffocato da altre priorità.
“Gò finít”, con questa espressione dialettale Fabio cala il sipario sul suo libro, e da lì in poi va in scena il “botta e risposta” con il numeroso pubblico presente. Il tutto condito come sempre da contagiose risate e ilarità. Volo risponde a tutte le domande che arrivano dalla sala, comprese quello più intime e personali. Parla della fortuna che ha di viaggiare molto e che gli piace farlo perché è come se vivesse tante vite diverse. New York, insieme a Capoverde e Barcellona sono le sue case, dove ho tanti amici e a cui è particolarmente legato. «All’estero le uniche cose che ci riconoscono – riferisce Volo - sono i ristoranti e la coppa del mondo di calcio, mentre io sono orgoglioso di essere italiano e in particolar modo bresciano. Qui ho imparato a lavorare sodo, ma anche i valori della chiarezza e dell’onestà. L’unica cosa che mi rattrista molto è il fatto di vedere una certa dose di razzismo nei giovani bresciani, che vedono il “diverso” come un elemento negativo. Io sono convinto che l’incontro con persone diverse da noi porti a una evoluzione nelle relazioni».
Arriva anche la domanda sulla sua vena letteraria. Volo riconosce di non essere uno scrittore “classico” e di non avere uno stile definito, ma crede che il successo ottenuto sia riconducibile all’onestà e alla semplicità che mette nel suo lavoro. Standing ovation e applausi per alcune metafore tratte da sue autocitazioni: «Nello stesso modo per cui quando si sbaglia il primo bottone della camicia si sbagliano tutti gli altri, un errore può comportare una serie di altri sbagli, ma che sono tutti conseguenza del primo». E poi, altra perla di saggezza “fabiovolana”: «Alcuni uomini sono come fontane, cioè danno tanto; altri come pozzi da cui bisogna attingere. Ognuno però deve capire chi è realmente, attraverso il percorso della propria vita, poiché tutto ciò che è in natura non viene spinto da forze, ma accade per armonia».