Una crisi che solo nel Vecchio Continente ha bruciato più di 500 miliardi di euro di consumi e investimenti mancati e quasi 300 miliardi di Pil. Ma anche un’Europa divisa a metà, con Italia e Spagna, da un lato, costrette a portare il carico più pesante - insieme soprattutto a Gran Bretagna , Grecia, Olanda, Irlanda - e, dall’altro, nove paesi, guidati dalla Germania, che registrano un saldo positivo sia su Pil sia su consumi e investimenti.
Lo scenario si evince dall’analisi condotta dal professor Luigi Campiglio, dell'Istituto di Politica economica dell’Università Cattolica, che ha realizzato uno studio sulle caratteristiche e sui risvolti del quinquennio (2007-2012) della crisi. «La recessione ha determinato il formarsi di due gruppi di paesi: il primo fortemente colpito negativamente dalla crisi, il secondo, al contrario, in grado di reagire spesso anche riuscendo a ottenerne vantaggia ottenerne vantaggi», spiega l'economista, che ha presentato la sua analisi durante un seminario che si è tenuto l’11 febbraio nell'ambito del corso di International competitiveness, presieduto dal professor Francesco Timpano, alla sede di Piacenza dell’Università Cattolica. «La crisi è stata affrontata in genere attraverso politiche fiscali per ridurre il deficit pubblico e per tenere l'inflazione sotto controllo da un lato e dall'altro attraverso politiche di svalutazione interna (non potendosi utilizzare politiche di svalutazione esterna) per migliorare il saldo della bilancia commerciale e scongiurare crescenti debiti esteri. L'esito di questo processo è il risultato di una forte preoccupazione europea per il pericolo inflazionistico e di una minore attenzione verso l'obiettivo della disoccupazione».
Due i momenti di picco dell’attuale recessione europea: gennaio 2009 e settembre 2013, ma le perdite complessive del Pil sono state radicalmente diverse. «L'Italia ha perso 86 miliardi di euro di Prodotto interno lordo, mentre alla fine la Germania ha guadagnato 63 miliardi di Pil. In termini pro capite la Grecia ha perso circa il 19,5% del Pil mentre la Polonia ha guadagnato l'11,2%», precisa il professor Campiglio.
Si è trattato di una recessione fortemente influenzata dall’importante riduzione dei livelli di consumo pubblico e privato, provocata e accentuata dall’austerità: ciò ha interessato soprattutto i Paesi che sono stati investiti dalle crisi (reali o potenziali) di debito sovrano.
Ma la recessione ha avuto un impatto significativo sulla disoccupazione, con differenze forti tra Paesi che hanno reagito con un welfare che ha supportato i disoccupati. In Germania, per esempio, la spesa per i sussidi di disoccupazione nel 2009 è aumentata in modo rilevante. In Irlanda i benefit per la disoccupazione sono arrivati a 1.136 euro per abitante, mentre in Italia sono rimasti a 187 euro pro capite.
Dall'indagine del professor Campiglio è poi emersa un’interessante relazione positiva tra disoccupazione e bilancia commerciale in Europa. «La disoccupazione, che ha contratto i consumi interni, ha prodotto un saldo positivo di bilancia commerciale generata dalla diminuzione delle importazioni, dovuta alla crisi interna, e dall'aumento delle esportazioni. Questa sorta di svalutazione interna, generata ancora dalla politica fiscale restrittiva, ha migliorato il conto corrente di bilancia commerciale. L'aumento delle esportazioni è stato così violento che in Germania le esportazioni sono passate dal 25% sul Pil nel 1994 al 50% di oggi. In Italia siamo arrivati dal 20% al 30%. Un surplus di bilancia commerciale è una buona notizia ma espone al rischio, dato che le esportazioni sono una componente di domanda molto volatile». La bilancia commerciale tedesca era negativa per 18 miliardi di euro nel 2007 ed è diventata positiva per 8 miliardi nel 2013, ma il legame più forte la Germania lo ha con gli Stati Uniti dove il surplus è passato da 38 miliardi a 51 miliardi nello stesso periodo.
Oggi però il problema più rilevante è la svalutazione interna. Il differenziale di inflazione tra Paesi europei si sta ampliando. Alcuni sono in deflazione (prezzi che diminuiscono), mentre altri hanno una crescita di prezzi positiva sebbene limitata. Ciò però crea una forte divaricazione tra Paesi. In particolare la deflazione può essere lunga e pesante in termini di impatto. Se misurata nel confronto tra beni commerciati con l'estero e beni commerciati solo all'interno (per esempio quelli dei servizi), si vede che in Italia i prezzi sono cresciuti di più per il secondo gruppo di beni rispetto alla Germania, ma è così anche per i beni alimentari. Questo differenziale incide sulla competitività dei nostri beni e, per evitare il peggioramento della bilancia commerciale con i Paesi europei, si possono solo praticare politiche di raffreddamento dei salari che andranno ad accentuare ulteriormente la crisi.
Il tema aperto resta però quello delle politiche da praticare in Europa per uscire da questo momento difficile, anche alla luce della scelta a livello europeo della convergenza. «Su questa strada la crisi sta determinando crescenti disparità e divaricazioni - conclude il professor Campiglio -. Ciò vuol dire che le politiche sin qui praticate non hanno funzionato ovvero hanno determinato risultanti troppo differenti».